Non sembra avere fine l’accanimento contro Evelyn Hernández, condannata nel 2016 a 30 anni di prigione con l’accusa di aver praticato un aborto in seguito a una violenza sessuale e poi assolta il 19 agosto dopo aver scontato già 33 mesi di carcere. La Procura generale di El Salvador, dove l’aborto è proibito senza alcuna eccezione, ha infatti deciso di presentare ricorso, obbligando la giovane, oggi 21enne, a rivivere il suo incubo per la terza volta. «Non c’è alcuna ragione per considerarla una vittima», ha dichiarato la Procura: «L’unica vittima è suo figlio».

SALITO ALLA RIBALTA internazionale, il caso di Evelyn Hernández, che ha sempre sostenuto di aver avuto un aborto spontaneo senza neppure sapere di essere incinta, è stato il primo in cui la Corte suprema di giustizia ha annullato la sentenza di condanna per omicidio aggravato e ordinato di realizzare un nuovo processo, poi terminato con la sua assoluzione. «È una gioia enorme, è la possibilità di iniziare una nuova vita», aveva commentato la giovane, annunciando anche di voler riprendere gli studi.

E con grande soddisfazione avevano celebrato la sentenza le organizzazioni di difesa dei diritti delle donne, considerandola un precedente fondamentale per altri casi di vittime – povere e molte volte adolescenti – della disumana legislazione salvadoregna, in base a cui la gravidanza deve essere portata a termine a qualsiasi costo, anche in caso stupro o di pericolo per la vita della madre.

LA PROCURA SEMBRA PERÒ decisa a chiudere ogni possibile spiraglio, esigendo che vengano riesaminate le «abbondanti prove della responsabilità penale dell’accusata nell’omicidio di suo figlio». Ed è in buona compagnia: nel 2016, di fronte alla proposta del Fronte Farabundo Martí di depenalizzare l’aborto nei casi di minaccia alla salute della madre, stupro e malformazione del feto, l’opposizione non solo aveva votato contro, ma aveva chiesto addirittura un inasprimento della pena fino a 50 anni di carcere. cl. fa.