La sentenza della Corte suprema ha dichiarato anticostituzionale una legge del Texas che aveva ristretto l’accesso all’aborto di milioni di donne dello Stato più grande d’America. La legge del 2013 aveva istituito nuove severe normative per le «abortion clinic», gli ambulatori preposti agli interventi. Le regole texane imponevano in che i consultori – molti gestiti dal collettivo Planned Parenthood – fossero equiparate agli ospedali. L’imposizione di sale operatorie a norma e l’assunzione di chirurghi specializzati affiliati con ospedali, fino a dettagli come metratura e corridoi abbastanza ampi per i passaggio di due barelle, erano state imposte dal parlamento repubblicano dello stato come tutela della salute delle pazienti ma con l’effetto calcolato di costringere alla chiusura molti piccoli consultori.

La legge contrastata dalla minoranza democratica e nel 2013 bloccata temporaneamente da un “filibuster” di undici ore della parlamentare Wendy Davis, era stata approvata col prevedibile effetto di far chiudere più della metà del già esiguo numero di ambulatori. Nello Stato più esteso dell’unione ne sono rimasti operativi appena nove. Per molte delle 5 milioni di donne in età riproduttiva l’interruzione della gravidanza avrebbe comportato un viaggio di molti centinaia di chilometri per raggiungerne uno.

La legga faceva parte della recente strategia di molti Stati “rossi”, a maggioranza conservatrice, di limitare con sotterfugi tecnici, come l’obiezione di coscienza, «periodi di riflessione» obbligatori o consenso dei genitori, il diritto all’aborto affermato dalla Corte suprema nel 1973. Sommati alla virulenta opposizione dei settori evangelici e teocon e alla violenza estremista costata la vita a numerosi medici abortisti negli ultimi venti anni oltre che la distruzione di molte cliniche, le politiche antiabortiste hanno determinato la chiusura di quasi la metà dei consultori in America (da 700 ai meno di 400 attuali). In alcuni Stati come la Louisiana da quest’anno è rimasta operative un’unica struttura (per una popolazione di quasi 5 milioni).

La sentenza della Corte per 5-3, ripristina nelle parole della giudice Ruth Bader Ginsburg il diritto costituzionalmente garantito delle donne all’aborto. «Quando uno stato limita così severamente l’accesso a procedure legali e sicure, l’effetto è che donne in circostanze disperate ricorrano a metodi che possono metterle a repentaglio». Le ha fatto eco il giudice Stephen Breyer che nella motivazione ha affermato che «non si rilevano sostanziali pericoli per la salute delle pazienti che la legge avrebbe mitigato, mentre di fatto limitava invece un diritto garantito dalla costituzione».

In un tweet Hillary Clinton ha immediatamente lodato la decisione: «La sentenza è una vittoria per tutte le donne in Texas e in America. L’aborto sicuro deve essere un diritto non solo sulla carta ma in pratica».

Il massimo tribunale americano, il cui operato è sempre cruciale per il percorso delle riforme sociali del Paese, si è venuto a trovare al centro dell’attuale campagna elettorale in seguito alla morte improvvisa questa primavera del giudice ultraconservatore reaganiano Antonin Scalia. I repubblicani hanno bloccato il voto sul suo sostituto indicato da Obama ma il prossimo presidente avrà facoltà di nominare un nuovo giudice. Se sarà Hillary Clinton, una nuova toga «liberal» potrebbe alterare l’attuale composizione moderata-conservatrice del tribunale. Come tutto ciò che lo riguarda la stessa nomina da parte di Trump è imprevedibile ma il candidato ha già dichiarato di voler scegliere un giudice conservatore. Si tratta insomma di una delle partite più importanti che si giocheranno con le prossime elezioni.

Dalla Corte suprema dipende infatti ad esempio la riforma del finanziamento dei partiti la cui struttura attuale consente finanziamenti illimitati da parte delle corporation che sponsorizzano le campagne elettorali dei politici. Un’altra questione cruciale riguarda il diritto stesso al voto. Nello scorso anno la Corte suprema ha consentito agli Stati di introdurre norme che restringono il suffragio universale (obbligo di presentare documenti, abolizione del voto per posta ecc.) in particolare per quanto riguarda la partecipazione di minoranze, cioè della base democratica. Molti Stati del sud hanno quindi ripristinato norme elettorali che erano state abrogate dal voting rights act promosso da Martin Luther King nel 1965 e che potrebbero incidere a favore dei repubblicani il prossimo novembre.

Per quanto riguarda l’aborto, la sentenza di questa settimana depone invece a favore dello schieramento che difende questo diritto fondamentale contro gli attacchi decennali dei conservatori.