Bolivia, 1973. Durante la dittatura di Hugo Banzer Suárez viene per la prima volta regolamenta la pratica dell’aborto, criminalizzandone l’attuazione e permettendone il ricorso solamente in precise circostanze.

Il pericolo di vita della madre, malformazioni fetali, il concepimento dovuto a una violenza o a un incesto sono le uniche causali che ancora oggi, dopo 46 anni, permettono l’interruzione legale della gravidanza. La pena per il medico operante all’infuori di queste causali è da uno a sei anni di reclusione, da uno a tre per la donna consenziente.

Secondo uno studio fornito dal Cidem (Centro de Information y Desarrollo de la Mujer), ogni giorno in Bolivia muoiono due donne per complicazioni legate alla gravidanza e si producono 185 aborti. «Queste statistiche vengono effettuate sulla base dei dati forniti dagli ospedali, in cui arrivano donne con emorragie o complicazioni. Non possiamo quindi parlare di autodeterminazione e di aborti voluti: chi abortisce con la pillola, o ricorrendo illegalmente a strutture private, non rientra in questi calcoli», spiega Julieta Ojeda, militante di Mujeres Creando, collettivo femminista che da più di vent’anni offre un servizio di consultorio nelle città di La Paz e Santa Cruz.

La denuncia della società civile è diretta e numeri alla mano rivendica come la realtà dimostri che nessuna penalizzazione ha mai ottenuto né mai otterrà che si eviti di ricorrere a tale pratica. «L’unico effetto generato dalla penalizzazione è mettere in gioco la vita delle donne più povere che non riescono ad affrontare gli elevati costi necessari per mettersi nelle mani dei medici, padroni di un ormai affermato business clandestino», continua Ojeda, illustrando i costi di tali interventi.

Ricorrere a un aborto clandestino in cliniche private varia a seconda delle strutture a cui ci si rivolge: «Un aborto sicuro può costare da 3.500 a 16mila bolivianos (dai 450 ai 2mila euro). Motivo per cui le donne preferiscono provocarsi gli aborti con la pillola».

E anche intorno a questo farmaco avvengono speculazioni notevoli ai danni delle richiedenti: «Il prezzo di listino sarebbe poco meno di due euro, ma viene venduto senza ricetta a un prezzo che può arrivare fino a più di tre volte il prezzo reale».

In clinica, pagando il massimo della tariffa, le cartelle vengono falsificate e le donne risultano ricoverate per altre ragioni, garantendo la massima riservatezza dell’intervento.

Chi non dispone di queste somme è costretto a rivolgersi a dei semplici consultori, dove «le tariffe sono sensibilmente inferiori e oscillano tra i 40 ed i 120 euro, ma le condizioni igieniche e di sicurezza sono altrettanto precarie e può succederti qualsiasi cosa».

Il ricorso agli aborti illegali è dovuto in larga parte a una diffusa mancanza d’informazione delle donne rispetto ai propri diritti, denuncia Mujeres Creando: «Nonostante sia un obbligo del governo diffondere l’informazione, non viene fatto, o quantomeno non in maniera sufficiente. Molte autorità municipali, centri di salute e gli stessi medici si oppongono alla pratica dell’aborto legale e le donne sono spesso costrette a rivolgersi a più strutture prima di essere ricoverate».

Se dal fronte delle istituzioni i movimenti in favore della depenalizzazione dell’aborto non trovano l’appoggio sperato, la situazione non è più rosea se si guarda al futuro politico del paese e alle prossime elezioni del 20 ottobre. Dei nove partiti che superate le primarie si contenderanno i seggi del parlamento, nessuno rappresenta né intende contribuire a difendere il diritto all’aborto e all’autodeterminazione delle donne boliviane.