Il cadavere è quello di un uomo bianco durante l’autopsia, ma la pelle sembra carbonizzata e si stacca a pezzi, come fosse una scocca di plastica. È l’immagine scioccante scelta quest’anno dall’associazione Nessuno Tocchi Caino per illustrare il Rapporto sulla pena di morte nel mondo 2014 presentato ieri a Roma nella sede del Partito radicale transnazionale. Il corpo senza vita è di Angel Diaz, ucciso nel 2006 nel braccio della morte di un carcere della Florida da un’iniezione letale i cui componenti sono considerati, proprio nella patria del liberismo, segreto di Stato. E la foto, che è stata pubblicata per la prima volta un paio di mesi fa sul quotidiano The New Republic, ha riaperto negli Stati uniti il dibattito sulla pena capitale «top secret» e sui cocktail letali che almeno nel 7% dei casi infliggono sofferenze terrificanti al condannato, trasformando l’esecuzione in tortura, punizione (paradossalmente) incostituzionale negli Usa.
A raccontarlo, ieri, nella sede di Via di Torre Argentina, c’era l’autore dello scoop, il giornalista Ben Crair, ospite, tra gli altri, insieme al sottosegretario agli Affari esteri Benedetto della Vedova, all’ex ministra Emma Bonino, e al ministro degli Esteri del Benin, Nassirou Bako Arifari, che ha ritirato il premio «Abolizionista dell’anno» per conto del Presidente del suo Paese, Boni Yayi. Messaggi di incoraggiamento e ringraziamento per il prezioso lavoro svolto dall’associazione radicale che negli anni ha saputo spingere l’Italia a creare un consenso diffuso nel mondo attorno alla moratoria della pena di morte ratificata nel 2007 dall’Assemblea generale dell’Onu, sono arrivati da tutte le alte cariche dello Stato: da Napolitano a Pietro Grasso e Laura Boldrini, fino alla ministra degli Esteri Federica Mogherini.

Un passo verso la civiltà

I dati snocciolati da Elisabetta Zamparutti, tesoriera di Nessuno Tocchi Caino, raccontano di un’«evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre quindici anni, e confermata nel 2013 e nei primi sei mesi del 2014». «I Paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica sono oggi 161 – riferisce Zamparutti – di questi, i Paesi totalmente abolizionisti sono 100; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 7; quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni 6; i Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 48». Gli Stati mantenitori della pena invece sono scesi a 37 dai 40 del 2012 e dai 54 del 2005. Sono comunque 22 le nazioni che l’hanno applicata nel 2013, esattamente come l’anno precedente. Una piccola guerra: almeno 4.106 morti di Stato, in lieve aumento rispetto alle 3.967 del 2012 (ma erano 5.735 nel 2008) a causa delle esecuzioni in Iran e in Iraq, Paesi che salgono sul triste podio dei boia insieme alla Cina (vedi approfondimento in pagina).

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Secondo il Rapporto, nell’ultimo anno e mezzo non si registrano esecuzioni in due Paesi – Gambia e Pakistan – che le avevano effettuate nel 2012. E viceversa sono riprese, dopo un anno di moratoria, in otto Stati: Indonesia, Kuwait, Malesia, Nigeria e Vietnam nel 2013; Bielorussia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto nel 2014. È comunque l’Asia il continente dove si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo. Mentre in Africa stanno la maggior parte dei 23 Stati che hanno compiuto ulteriori passi politici o legislativi verso l’abolizione.

Streghe, adultere, blasfemi

Proprio ieri le agenzie hanno battuto la notizia di una donna accusata di adulterio lapidata nel nord della Siria da jihadisti dello “Stato islamico”, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong con sede in Gran Bretagna legata agli attivisti delle opposizioni. Si tratta di una di quelle «esecuzioni extragiudiziarie» che secondo il Rapporto avvengono regolarmente anche in Somalia, Afghanistan, Pakistan e in Yemen. La Siria, invece, è annoverata tra i Paesi dove «non è possibile indicare il numero esatto delle esecuzioni a causa della guerra civile in corso e della mancanza di informazioni ufficiali fornite dalle autorità siriane». Comunque dei «47 Paesi e territori a maggioranza musulmana nel mondo, 25 possono essere considerati a vario titolo abolizionisti, mentre i mantenitori della pena di morte sono 22, dei quali 18 hanno nei loro ordinamenti giuridici richiami espliciti alla Sharia». Impiccagione, fucilazione e decapitazione i metodi usati legalmente; mentre la lapidazione, che è adottata in 16 stati islamici, nell’ultimo anno e mezzo non è stata mai eseguita legalmente. L’Iran però l’ha reinserita nel codice penale per adulterio. L’apostasia e la blasfemia sono punite con la morte in 12 dei più integralisti Paesi musulmani. E nel periodo di riferimento sono state comminate ma non eseguite condanne a morte in tre Paesi anche per stregoneria. Nessuna pietà nemmeno per i minorenni: 24 uccisi, di cui 11 in Iran nel solo 2014. Naturalmente, come sottolinea Nessuno Tocchi Caino, «il problema non è il Corano ma la traduzione letterale di un testo millenario in norme penali, punizioni e prescrizioni ».

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Verso l’abolizione totale

«L’Italia continua la sua battaglia per l’abolizione della pena di morte nel mondo, anche in vista della discussione che ci sarà in settembre prossimo all’Assemblea Generale dell’Onu», ha affermato ieri la ministra Mogherini. L’obiettivo dei Radicali, come hanno spiegato il segretario di Nessuno Tocchi Caino, Sergio D’Elia, Emma Bonino e Marco Pannella (in sciopero della fame e della sete per abolire «anche la morte per pena» nelle carceri) è aumentare il numero di Stati aderenti alla moratoria (nel 2012 furono 411) nella prossima assemblea dell’Onu. Ma anche ottenere l’aggiunta di un paragrafo che contempli l’istituzione, nell’ambito della segretaria generale, di una figura di monitoraggio soprattutto di quegli Stati dove «si sta facendo di tutto per occultare i modi con cui la pena di morte è praticata», come ha spiegato D’Elia. Un velo creato in particolare negli Usa «per coprire il tipo di sostanze utilizzate nelle esecuzioni e i fornitori, e impedire così qualsiasi azione di sensibilizzazione che blocchi, come è già successo, i rifornimenti dei cocktail utilizzati dai boia».