Secondo stime sindacali in Italia 1.700.000 persone (di tutte le età, in maggioranza donne) ricevono per il loro lavoro un voucher al posto del salario. Sono il 10% di tutti i lavoratori dipendenti ed il loro numero è in continua crescita. Se ne preoccupa anche il Presidente della Repubblica, che chiede si metta fine al loro «utilizzo improprio».

L’ intenzione della legge del 2003 era quella di regolarizzare alcune forme di lavoro saltuario e di contrastare il caporalato, in particolare nei lavori stagionali in agricoltura. Per queste finalità i voucher sono stati utilizzati pochissimo. La loro crescita esponenziale comincia dopo il 2008, con la crisi e l’avvio di un diffuso processo di riorganizzazione delle imprese caratterizzato dal recupero di efficienza e di produttività e dal risparmio non solo dei costi, ma anche degli occupati. Nel 2009 i voucher acquistati passano da 500.000 a 2,7 milioni e poi in crescendo si arriva ai 115 milioni del 2015 . In otto anni ne sono stati venduti per 4 miliardi di euro, anche perché, grazie alle leggi dei governi Berlusconi, Monti e Renzi, si è esteso e liberalizzato il loro utilizzo: dal commercio e turismo ai laboratori artigianali ; dai cantieri edili ai servizi pubblici per la cura del verde, la manutenzione degli edifici scolastici, i servizi funebri, la sistemazione degli archivi. Questo non ha ridotto l’area del lavoro nero. Diffuso rimane il caporalato in agricoltura anche al Nord. Lo stesso vale in edilizia. Lo prova la denuncia dell’Inail: quasi sempre il giorno di infortunio in cantiere o nei campi coincide con il primo pagamento del buono-lavoro.

I voucher servono non per sanare situazioni di irregolarità, ma per rendere regolare lavorare senza contratti di lavoro, cioè senza misure di sostegno al reddito in caso di disoccupazione, malattia, maternità; senza godere di tredicesima, ferie, permessi, maggiorazioni per il lavoro festivo. Alla divisione dell’era fordista tra esercito del lavoro ed esercito di riserva dei disoccupati ora, nell’epoca del toyotismo, si sostituisce la frattura tra lavoro “necessario”, impegnato nei processi di miglioramento continuo (il kaizen) per reggere la competizione globale, e lavoro “accessorio”, precario, intermittente, comunque just in time, sempre a disposizione. Senza di ciò non si capirebbe perché la crescita esponenziale dei voucher ha interessato le regioni più ricche del Paese, come la Lombardia o il Veneto, e perché in un anno è raddoppiata nelle attività “non classificate”, dove c’è tanta manifattura, dall’operaio al programmatore informatico.

Il toyotismo ha come caratteristica di fondo l’aziendalismo e per questo avversa i contratti nazionali di categoria ed il sindacalismo confederale. Che si chiami Wcm come alla Fca o «metodo kaizen» come nell’industria del presidente di Federmeccanica o lean production come alla Luxottica, l’obiettivo di fondo è la messa in mora della contrattazione sindacale da sostituire con la “partecipazione”. Al Galileo Festival di Padova , di fronte ad una affollata platea di imprenditori veneti, lo ha ripetuto con forza Toshio Horikiri, il manager che ha portato la Toyota in Cina e ora fa accordi di consulenza in Italia. In questo sono di grande aiuto le leggi dei Governi che in Europa, conservatori o “progressisti” che siano, non sono mai stati così anti-sindacali, dalla Gran Bretagna alla Germania per finire alla Francia, dove è in atto una dura lotta sindacale. In Italia la sponda è il Jobs Act.

Mentre svanisce l’effetto propagandistico del «più libertà di licenziare, più assunzioni» (dopo 16 mesi il 40% degli assunti ha già perso il lavoro), ciò che conta è impedire che la contrattazione collettiva inceppi il meccanismo. Un’azienda che firma accordi in deroga al Jobs Act «è di fatto fuori dalla nostra associazione»: questa è la linea di Maurizio Stirpe, il responsabile per le relazioni industriali di Confindustria.

Per contrastare questa deriva non basta “tracciare” i voucher (o “regolari meglio”, come si discute nel Governo) oppure contrattarli in azienda (come propone la Cisl). Occorre un sindacato capace di invertire il processo con cui negli anni Ottanta le imprese fecero proprie le conquiste operaie, dal riconoscimento dei nuovi contenuti professionali al controllo collettivo sul processo produttivo, sostituendo progressivamente i delegati sindacali con i team-leader, attivisti del progetto aziendale di partecipazione. Si tratta ora di contrattare questi nuovi schemi di lavoro partecipativi, facendo leva sullo scarto tra accresciute responsabilità e limitata autonomia; tra superlavoro e precarietà. La richiesta della Cgil di abolire l’attuale legislazione sui voucher è un passo in questa direzione.