L’altro giorno, tre giudici hanno annullato l’ordinanza della Capitaneria di porto veneziana che aveva ridotto (poco, proprio poco: -12,5%) i grattacieli naviganti nel bacino di San Marco e che era stata impugnata (indovinate un po’) dal Venezia Terminal Passeggeri, il gestore del traffico crocieristi nella città lagunare.

I giudici di cui sopra hanno sospeso il provvedimento in via cautelativa, in attesa della valutazione di merito prevista a giugno di quest’anno. I giudici di cui sopra sono una sezione del Tar (Tribunale amministrativo regionale) del Veneto. La breve premessa perché proprio di questo vorremmo occuparci oggi: della giustizia amministrativa.

La sospensione ha ricevuto applausi persino esagerati dalla Confindustria locale, dal presidente del Porto di Venezia (che ha una partecipazione nella Vtp) e da tutti coloro evidentemente accecati dalla logica che l’unica cosa importante, in economia, sono gli zecchini subito. Se poi l’arricchimento odierno provoca la distruzione della stessa fonte di sostentamento, chissenefrega. Dal punto di vista concreto, adesso la palla ritorna alle Infrastrutture che dovranno scegliere una soluzione alternativa fra le 8 giunte finora (i termini scadono il 20 marzo) alla stessa Capitaneria. Fra queste, viene data per vincente la proposta del cosiddetto canale Contorta, ovvero uno scavo di 1,5 metri sul fondale tra l’attuale terminal turistico e il porto commerciale a Marghera, che consentirebbe alle navi da crociera di imbarcare i passeggeri a Venezia evitando però di transitare a Giudecca-San Marco. Il canale Contorta, tuttavia, è stato criticato da molte associazioni ambientali e da molti esperti, poiché va a toccare un elettrodotto e un oleodotto, oltre ad alterare il delicatissimo equilibrio lagunare.

Dal punto di vista giuridico, la pronuncia del Tar Veneto offre altre opportunità di riflessione. Vediamole. I passaggi salienti sono due. Il primo dice che l’ordine della capitaneria si pone «in contrasto con il principio di gradualità» previsto dal decreto ministeriale Clini-Passera (79/2012) «in base al quale l’interdizione del transito può essere consentita solo a partire dal momento dell’effettiva disponibilità di una via alternativa». Via alternativa che, come si è detto, non è ancora disponibile. Attenzione, perché una identica motivazione aveva spinto il sindaco di Venezia, Orsoni, a presentare ricorso con intenti opposti: ottenere una riduzione maggiore del traffico-monstre. Il secondo caposaldo della sospensiva recita invece che il divieto della Capitaneria «non appare sostenuto da una adeguata attività istruttoria preliminare, volta all’identificazione dei rischi connessi ai traffici nei canali in questione e ai transiti delle navi con stazza superiore a 40.000 tonnellate».

Non è consentito dalle due brevi paginette del provvedimento dedurre che il Tar abbia apprezzato le ragioni degli operatori marittimi secondo cui bisognava tenere conto del presunto dramma occupazionale conseguente al calo dei passaggi (-2500 posti di lavoro, e adesso però dovrebbero essere costretti a garantire il mantenimento di quei livelli occupazionali) a fronte della mera attenzione a valori «estetici».

Sono consentiti però altri ragionamenti. Intanto che, sentenziando su una materia così complessa, un giudice avrebbe forse preso in considerazione anche altri elementi, come le norme invocate dal Comitato No Grandi Navi secondo il quale tutto quello che sta accadendo (e accadrà, se passa il canale Contorta) è fuorilegge. La domanda conclusiva è perciò la seguente: ma questo paese ha davvero bisogno dei Tar e del Consiglio di Stato? Uno studio su 25 paesi europei dice che soltanto 15 sono dotati di giurisdizioni amministrative autonome. Non avrà forse ragione Romano Prodi che recentemente si è detto favorevole ad abolire i Tar? Meditate, gente, meditate.