La mitopoiesi, come indica molto chiaramente l’etimologia composita del termine, è il fare mito: l’inesorabile tendenza umana a creare delle storie, a dare delle risposte a domande irrisolvibili attraverso la narrazione. La mitopoiesi familiare è ugualmente “un vizio” umano: impossibile resistere alla tentazione di costruire, almeno in parte, la propria personalità e il proprio destino, a partire dai miti, dalle storie, più o meno vere, dei nostri familiari. In questo modo, le nostre origini, come quelle del mondo, si compongono di personaggi fortemente connotati o di aneddoti particolarmente significativi e adatti a illustrare le ragioni della peculiarità di ognuno. Francesca Farina parte da questa istanza condivisa per giungere alla creazione di un’opera enorme: qui la mitopoiesi familiare, infatti, non solo si ispira ai grandi classici della mitologia, ma vi si inscrive a partire da uno studio forsennato delle origini, di quelle del suo territorio e della sua schiatta.

Il testo si compone, infatti, di ventotto capitoli: diciotto nella parte prima e dieci nella seconda, che si concentra sui ritratti familiari. A essere colpiti prima di tutto, quindi, è la mole di conoscenze messe in campo per un’opera che inizia, come da manuale, con il racconto del mito fondatore secondo cui le “virtù ferine” degli abitanti derivavano dal fatto che “il Paese fosse nato dal sangue o dagli amori di una cerva”. Mentre coloro che avevano il potere, i Barones: “ritenevano di essere discesi da una dea, forse dalla carne della stessa Medusa, prima che Perseo ne celebrasse lo scempio”.

Poi, desta l’attenzione l’ordine composto, ma fluente con il quale Farina descrive i luoghi degli Iliensi, a cominciare dal “Paese dell’eterno lutto”: tale punto di vista potrebbe definirsi geografico, nel senso che l’autrice si muove a partire da coordinate invisibili quanto chiare per costruire le sezioni narrative e raccontare gli spazi, la luce e poi i personaggi di questa storia mastodontica.

Infatti, questo stesso ordine domina anche la descrizione dei protagonisti della seconda parte del testo: “la zia Enne tornava dunque a rifugiarsi nel suo angolo, accanto al caminetto […] Si sistemava l’ampio fazzoletto sulla sommità del capo, ne raccoglieva abilmente le cocche stringendole sotto il mento, e, tratta da una tasca la corona del rosario, cominciava una nascosta litania di preghiere”.

Casa di morti (Bertoni Editore, pp. 391) incontra l’interesse delle lettrici e dei lettori appassionati di Storia e di storie, perché in questo sforzo consistente che Farina ha fatto per la creazione del testo è riuscita a combinare un punto di vista particolare, nella seconda parte, con una narrazione che ha ambizioni più universali nella prima parte.

Probabilmente la nota più importante di quest’opera è di carattere politico: chi dedica anni di studio per ricomporre il passato di un popolo vinto? Gli Iliensi, cioè la gente originaria protagonista del testo, abitanti della Sardegna dal II millennio a.C., furono costretti ad abbandonare le proprie terre, prima con l’invasione cartaginese e poi quella romana. Farina non solo ha dato voce a una mitopoiesi familiare, ma alla storia di un popolo, a partire dall’elemento fantastico.