«Per quanto concerne il processo di santificazione, ci riferiamo agli ultimi 10 anni di vita, altrimenti non potrebbero essere inclusi i santi convertiti. Nel suo caso c’è stata una prima fase ’preparatoria al volo’ e poi a un certo punto ha preso quota. Certo, anche allora hanno continuato a esserci turbolenze e vuoti d’aria, ma un momento cruciale per essere giudicati santi è quello della morte, e quando è morto, lui era perfettamente in quota …». Questa frase pronunciata da un alto prelato della commissione ecclesiastica preposta alle santificazioni ci offre un assaggio di cosa aspettarci da un binomio per certi versi anomalo, per altri non impossibile da prevedere come quello tra Abel Ferrara e Padre Pio. Per ora tra i due c’è un documentario, Searching for Padre Pio, appunto, l’ultimo lavoro del regista americano. Ferrara ha voluto fortemente fosse proiettato a Salerno nella giornata di incontri che il festival Linea d’ombra e l’associazione Tempi Moderni, in collaborazione con l’università, gli hanno dedicato. Indagando questo connubio, la prima cosa che emerge è un desiderio manifesto da parte dell’autore de Il cattivo tenente non solo di interloquire con il nostro Paese (vedi Pasolini), ma soprattutto di innescare un dialogo con il sud Italia, onde riannodare le tracce del nonno, quasi coetaneo di Padre Pio, nato a Sarno, quindi emigrato negli Stati Uniti: «un uomo straordinario che ha parlato tutta la vita in dialetto, ha influito sull’esistenza di tutta la famiglia, in particolare sulla mia». Da questo «transfert» storico-familiare (al momento solo un fuoricampo emotivo senza agganci nel doc, ma forse un giorno sarà un film a sé), si dipana un peregrinare irrequieto per gli uliveti tra Petralcina e San Giovanni Rotondo, luoghi dove si manifestò la parabola esistenziale di Padre Pio al secolo Francesco Forgione (1887-1968). Ciò che si apprezza è l’apertura agnostica della ricerca intellettuale di Ferrara che dialoga con diversi studiosi. Siano storici, sia uno psichiatra americano o un testimone oculare allora bambino (in particolare sulla questione delle stimmate), fino a Sergio Castellitto, il regista si mette in gioco specie quando non comprende certi retroscena come quelli riguardanti la costruzione dell’Ospedale della Sofferenza. Se per Pasolini, come ha sottolineato Maurizio Braucci – sceneggiatore ancora a fianco di Ferrara insieme a Stefano Falivene, direttore della fotografia – il dispiacere era stato quello di non aver filmato la ricerca propedeutica al film, Searching for Padre Pio muove proprio dall’esigenza di fissare un tracciato di indagine in chiave antropologica (per questa scia possiamo intuire il legame con la vicenda del nonno, tra povertà, assenza dello Stato e necessità di avere esaudite anche le necessità terrene), che dovrebbe far da ponte a un film di finzione. A Salerno Ferrara risponde con fastidio alle domande, è scontento, ma poi si apre, forse vorrebbe lo si leggesse nel pensiero come faceva suo nonno nel Bronx. Afferma che solo in Italia può reinventare le forme e il cinema, negli Stati Uniti non è più possibile. A un certo punto durante l’incontro si alza, va via. Ma poi torna, dice che non se ne andrà più.