«Missile lanciato». Questo è il messaggio che il sistema di avvertimento J-alert ha trasmesso ai residenti dell’Hokkaido, la più settentrionale delle isole del Giappone, alle sei e due minuti del 30 agosto scorso, seguito da una richiesta di evacuazione. L’allarme cessava dodici minuti dopo con un nuovo messaggio: «Missile passato».
Il Presidente americano, dal quale la sicurezza militare giapponese dipende, ha scritto subito dopo «ogni opzione è sul tavolo», riferendosi alla Corea del Nord come responsabile del lancio.

A metà settembre seguiva un secondo lancio nordcoreano. Conseguenza: dai due lati del Pacifico nuovi rulli di tamburi – e di tweet. Qualche giorno dopo il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, scioglieva la camera bassa e indiceva nuove elezioni.

Per l’amministrazione Abe la crisi coreana ha ampi riflessi di politica interna. Questo accade per due ordini di ragioni. Da un lato la vicenda che vede protagonisti Corea del Nord, Corea del Sud e Stati Uniti (e Cina) si è legata, e si lega tutt’ora, alla sua sopravvivenza politica e dall’altro mostra le linee di tendenza del suo governo e del partito Liberal-democratico (LDP) sui temi cruciali della riforma costituzionale e del riarmo giapponese.
All’epoca dei lanci nordcoreani l’amministrazione Abe aveva raggiunto i suoi livelli più bassi di fiducia.

Era stretta tra il ristagno della politica economica espansiva – nota come Abenomics – e i continui scandali, in cui era coinvolto il primo ministro, che non accennavano a placarsi. La pressione parlamentare montava. L’acuirsi della crisi internazionale offrì ad Abe un nuovo cavallo di battaglia.

Fu così che il mese seguente Abe uscì vittorioso dalle urne. Quello nordcoreano fu un aiuto non da poco, scherzano amaramente fra le fila dell’opposizione.
A oggi l’Abenomics è di fatto uscita dagli annunci del governo in attesa delle riforme strutturali impantanate in parlamento, mentre le rivelazioni di presunti favori illeciti che tormentano il governo dall’inizio dell’anno scorso si susseguono in uno stillicidio continuo di rivelazioni sempre più compromettenti.

Abe è di nuovo in difficoltà e non c’è occasione – anche sulla stampa di destra – che non si metta in dubbio la sua rielezione alla guida dell’Ldp a settembre. Baluardo dell’amministrazione sembra essere il supporto ferreo della potente fazione interna al partito di governo guidata dal Ministro delle finanze Taro Aso. La Corea del Nord potrebbe, però, giocare di nuovo un ruolo determinate.
Sui rapimenti Abe ha costruito la sua linea di politica estera nella crisi, così come avevano già fatto i governi liberal-democratici che lo hanno preceduto. Pilastro della campagna elettorale di Abe è stata la promessa di una soluzione della questione dei rapimenti di cittadini giapponesi da parte di Pyongyan a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.

Si tratta di 17 persone scomparse (per i parenti delle vittime sarebbero molti di più), rapite dai servizi segreti nordcoreani per usarle nell’addestramento linguistico delle loro spie in patria. La maggior parte dei rapimenti è avvenuta sulle spiagge della costa nord del Giappone antistanti la penisola coreana, tra Fukui, Ishikawa e Niigata. La questione è ancora sentita e non è raro sentirla nominare a metà tra lo scherzo e il brivido tra chi sceglie di far le vacanze lì.

Ora che Abe è a un passo da un incontro con Kim dovrà, però, portare a casa dei risultati o temere per il suo futuro, sostengono i commentatori locali. A seguito dei contatti avvenuti in Mongolia tra funzionari nipponici e nordcoreani l’incontro potrebbe svolgersi già nei prossimi mesi e quindi prima del congresso dell’Ldp di settembre, su cui l’esito delle trattative andrà a pesare.
Il primo ministro cavalca la questione emotivamente più cara al suo pubblico per cui il governo si era prima mosso solo lentamente e senza collegamenti in Corea del Nord, lamenta la stampa nipponica, che ha messo in dubbio la sincerità del governo sul punto.

Gioca invece un ruolo limitato sulle grandi questioni della denuclearizzazione, dei missili, e in ultima istanza della pace, dichiarando solo la disponibilità di fondi per la denuclearizzazione se ci saranno le condizioni.
Abe si spende in una grande attività diplomatica centrata sui molti colloqui con Trump, ma per consolidare la garanzia offerta dalla presenza in Giappone della flotta, dei marines e dell’aeronautica americana. Abe si è fatto paladino delle riforme costituzionali che ruotano intorno al riarmo giapponese, ora escluso dalla Costituzione. Proprio l’ampliamento delle opzioni di intervento internazionale disponibili al governo è uno degli obiettivi di lungo periodo del primo ministro e dell’Lpd, soprattutto dell’ala più revisionista del partito, voce della Nippon Kaigi, un’associazione revisionista, a cui il primo ministro è vicino.

L’idea non è certo nata con lui. Nakasone, uno dei più famosi primi ministri giapponesi del dopoguerra, racconta nei suoi diari della sua visita in America, lui allora un giovane deputato conservatore, proprio nei giorni in cui scoppiò la guerra di Corea.

Il generale MacArthur a capo dell’occupazione aveva parlato del nuovo Giappone come di una «Svizzera del Pacifico», ma nei fatti allo scoppio della guerra egli iniziò la riorganizzazione delle forze di sicurezza interne. Nakasone ne trasse le debite conseguenze nel memorandum consegnato al Segretario di stato Dulles: l’idea di un Giappone riarmato e in grado di entrare in un’alleanza alla pari con gli Stati Uniti era la chiave per il futuro nipponico.

Data la debolezza dell’opposizione, Abe al momento può essere defenestrato solo da una rivolta interna al suo partito, ma anche se questo accadesse a settembre non garantirebbe un cambio di prospettiva in politica estera. Se ora il primo ministro appare in difficoltà, l’Ldp è ancora una corazzata e riesce a vincere in provincia nonostante tutti gli scandali. Come ha fatto la settimana scorsa nelle elezioni locali di Niigata (dove si è ripreso il governatorato dalla sinistra).

Abe deve sperare che le sue alleanze estere e soprattutto interne, in particolare con Aso, tengano e che in nome della sicurezza gli consentano di continuare a guidare il paese.