È spirato nell’infermeria del carcere Abdullah al Hamid, accademico, scrittore e attivista saudita per i diritti umani. «Morto per negligenza medica e per mancanza di cure adeguate alla gravità delle sue condizioni», denunciano Prisoners of Conscience e ALQST, un gruppo saudita per i diritti umani che opera al di fuori del Regno. Condannato a 11 anni di carcere per le sue attività a sostegno dei diritti umani in Arabia saudita, al Hamid aveva avuto un ictus il 9 aprile ed era in coma da 15 giorni. Il 17 aprile Amnesty ne aveva chiesto la scarcerazione per le sue condizioni di salute, giudicate molto gravi. Invece le autorità saudite lo hanno trasferito dall’ospedale nel carcere di al Shumaisi a Riyadh dove il suo cuore ha cessato di battere nella notte tra giovedì e venerdì. Tre mesi fa i medici avevano invano richiesto che l’attivista, che soffriva di ipertensione, si sottoponesse subito a un intervento cardiaco. Al Hamid, 69 anni, era stato tra i fondatori della Saudi Civil and Political Rights Association (Acpra). Aveva scritto sui diritti dell’uomo e sull’indipendenza della magistratura. Nel marzo del 2012 era stato arrestato con Mohammad al-Qahtani, co-fondatore di Acpra, e condannato l’anno successivo con l’accusa di aver «rotto il patto di fedeltà al sovrano», «cercato di mettere a rischio la sicurezza del paese incitando al disordine» e di aver collaborato con «organizzazioni internazionali contro il Regno dell’Arabia saudita». (michele giorgio)