«Basta con il patto della finzione ecologica». Gli attivisti di Greenpeace sono tornati in azione, e questa volta lo hanno fatto al largo di Ravenna, arrivando con i gommoni fin sotto la piattaforma estrattiva Porto Corsini Mare Ovest, e poi abbordandola. Sulla terraferma invece avevano già protestato Legambiente, la campagna Per il Clima Fuori dal Fossile e Fridays for Future. Il tutto in occasione del Med Energy Conference Exhibition, una sorta di festival del settore del gas, presentato come svolta per la transizione ecologica ma in realtà combustibile fossile inquinante e climalterante.

Un evento che non a caso è stato organizzato a Ravenna, uno dei cuori industriali di Eni, il gigante dell’oil and gas controllato dallo Stato italiano attraverso Cassa Depositi e Prestiti.

Gli attivisti di Greenpeace hanno denunciato le «inefficaci politiche del governo contro la crisi climatica che favoriscono le aziende inquinanti come Eni». Per farlo hanno indossato maschere raffiguranti il premier Draghi e il ministro della Transizione ecologica Cingolani, e hanno inscenato un «patto» tra Eni e il governo italiano, una finta transizione ecologica «che vincola il nostro Paese alle fonti fossili». Cingolani viene chiamato a rispondere non solo su cosa fa Eni, e sui suoi progetti, ad esempio il Ccs che potrebbe creare – anche con finanziamenti pubblici – un’enorme discarica sotterranea di anidride carbonica al largo di Ravenna.

Gli ambientalisti sono in allarme perché oggi è l’ultimo giorno disponibile per la pubblicazione del Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee. Si tratta del piano che avrebbe dovuto dare uno stop alle trivellazioni di combustibili fossili, e che invece risulta una «scatola vuota», incapace di segnare una vera svolta verso le energie green. «E’ sempre più certa l’ipotesi che, in assenza dell’adozione del Piano, si rimettano in moto i procedimenti autorizzativi vecchi e nuovi (compresi quelli di Valutazione di Impatto Ambientale) per la prospezione e ricerca degli idrocarburi, sospesi sino a fine settembre», hanno scritto a inizio di settembre Greenpeace, Legambiente e Wwf. La situazione non è cambiata. Ieri ci sono stati gli ultimi contatti con lo staff del ministro, ma nessun segnale. Non si sa cosa farà Cingolani, e lui non l’ha annunciato nemmeno ieri a Milano, parlando con i 400 giovani di Youth4Climate che ha incontrato. Ora c’è il rischio che l’attesa di due anni si trasformi «in una farsa».

La richiesta è quella di una moratoria, in attesa dell’approvazione definitiva del Pitesai. Una bozza di piano scritta dal ministero ci sarebbe anche, ma è così fumosa da non incidere. Perché da un lato non presenta una data per lo stop alle estrazioni di gas, e dall’altro contiene un riferimento al Ccs. Un modo per assicurargli un futuro funzionamento pubblico?

Anche per questo gli attivisti di Greenpeace sono saliti ieri mattina sulla piattaforma marina di Eni a Ravenna, nei fatti una trivella per estrarre il gas presente sotto il mare, e hanno esposto un grande striscione con il messaggio: «Basta bugie di Eni, nascondere CO2 non salva il clima». Si parla ovviamente del Ccs, il progetto che Eni vorrebbe realizzare proprio a Ravenna riutilizzando le sue piattaforme estrattive destinate nel breve periodo alla dismissione. L’idea è quella di catturare la CO2 prodotta dalle industrie e nasconderla sotto il mare nei giacimenti esausti. Un progetto costoso e inefficace, secondo molti scienziati, eppure costantemente nell’agenda delle istituzioni.

«Progetti come il CCS sono solo un pretesto per continuare a estrarre e bruciare gas fossile e non devono essere finanziati con le tasse di italiane e italiani. Il Presidente Draghi dica chiaramente se l’Italia vuole puntare sulle rinnovabili, bloccate da anni, o su false soluzioni come il Ccs e il gas fossile», ha chiesto Luca Iacoboni, responsabile energia e clima di Greenpeace. Di sicuro c’è che il gas piace all’industria (e non solo), radunata a Ravenna per Med Energy Conference. C’erano i ministri del petrolio di Egitto, Libia e Cipro, rappresentanti delle aziende petrolifere di Stato di Algeria e Libia, della francese Total oltre ovviamente a personale di Eni, Snam e Saipem.

Nel convegno non si è parlato di «zero carbon», ma di «low carbon future», e per abbattere le emissioni si è citato più volte l’idrogeno blu (quello ottenuto attraverso il gas e non, come invece chiedono gli ambientalisti, con fonti rinnovabili pulite come vento e solare) in combinazione col Ccs. Un modo per tenere in vita le reti di distribuzione, le vecchie piattaforme e l’economia legata al gas (definito una «fonte ponte» da «sviluppare ulteriormente» in attesa delle energie rinnovabili), e creare nello stesso tempo discariche sotterranee marine di CO2 per poter affermare di avere abbattute le emissioni.