Europa

«Abbiamo votato no, ma sì a Tsipras»

Bernd Riexinger, co-segretario Linke «La questione greca è, in realtà, la questione europea, perché Merkel e Schäuble danneggiano tutti»: ne è convinto il co-segretario della Linke, Bernd Riexinger (nella foto), che abbiamo raggiunto al […]

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 18 luglio 2015

«La questione greca è, in realtà, la questione europea, perché Merkel e Schäuble danneggiano tutti»: ne è convinto il co-segretario della Linke, Bernd Riexinger (nella foto), che abbiamo raggiunto al telefono poche ore dopo il voto del parlamento tedesco che «autorizza» il governo di Berlino a trattare gli «aiuti» ad Atene.
Voi dite: «Votiamo no a Berlino, ma ad Atene avremmo votato sì». Non c’è contraddizione?
Non so se ognuno di noi avrebbe votato sì ad Atene, ma una cosa è chiara: c’è una grande differenza fra la decisione che avevano di fronte Tsipras e Syriza, minacciati con il coltello puntato alla gola di essere cacciati dall’euro, e quella che avevamo di fronte noi, che potevamo decidere liberamente. Ci sono misure contenute nell’accordo che non accetteremmo mai in Germania, e quindi al Bundestag abbiamo votato no. Ma naturalmente la nostra solidarietà a Tsipras e Syriza è fuori discussione.
E quindi Tsipras non ha sbagliato ad accettare l’intesa?
In quel momento non aveva alcuna possibilità di dire no. La minaccia della Grexit era autentica, e per Tsipras lo scenario peggiore era proprio quello di un’uscita incontrollata – insisto: incontrollata – dall’euro.
Il paese non sarebbe stato pronto a quell’eventualità. Bisogna sapere che la Grecia importa l’85% dell’energia, il 40% degli alimenti e quasi tutte le medicine. La Grexit sarebbe stata una catastrofe economica, anche perché contemporaneamente non avrebbero potuto godere già dei vantaggi di una moneta propria: mancano le strutture economiche che permettano l’esportazione, e la nuova divisa non sarebbe stata riconosciuta nei circuiti del commercio internazionale. E non dimentichiamo che la maggioranza dei greci è favorevole a restare nell’euro. Forse si può riconoscere che il governo greco ha sottovalutato due elementi: la durezza degli interlocutori e l’importanza di avere un «piano b».
La Linke resta al fianco di Tsipras e di Syriza, ma non nega che l’accordo obbliga le forze alternative a riflettere sulla strategia futura. Come si fa a cambiare i rapporti di forza attuali?
Io credo sia evidente che il governo di sinistra greco da solo non può farcela. Noi abbiamo bisogno che cambino i rapporti di forza nei Paesi economicamente forti. E devo dire che non capisco perché gli esecutivi italiano e francese siano allineati dietro gli interessi dell’industria tedesca esportatrice: è una politica che li danneggia. Deve essere chiaro che la posta in gioco non riguarda solo la Grecia, ma tutta Europa, perché la politica di Merkel e Schäuble fa danni ovunque. Per questa ragione, come sinistra, noi dobbiamo sostenere un cambiamento radicale dell’Unione europea, dalle fondamenta.
E l’obiettivo deve diventare la fine dell’euro?
A sinistra dobbiamo assolutamente evitare un grave errore: ridurre tutta la discussione solo alla moneta. La soluzione ai problemi dell’Europa va molto al di là del tema dell’euro: bisogna avere una visione più complessiva delle contraddizioni del capitalismo contemporaneo. Per intendersi: anche senza l’euro avremmo ingenti esportazioni dalla Germania, e se tutti tornassero alla loro moneta le cose non migliorerebbero.
D’altro canto, è indiscutibile che l’euro renda i forti ancora più forti, e i deboli più deboli: le economie si differenziano sempre di più e quindi questa moneta unica è destinata a non funzionare. Il punto è l’equilibrio interno alla Ue, che attualmente non c’è. In Germania le persone vivono al di sotto delle loro possibilità: i salari e le pensioni potrebbero essere più alti, e così gli investimenti pubblici.
Se così fosse, diminuirebbe il disequilibrio della bilancia commerciale, causato dal troppo export: il surplus degli uni è il deficit degli altri. Insomma, non dobbiamo impostare la discussione «euro sì – euro no», ma tenere presente la complessità che abbiamo di fronte: il ruolo della finanza internazionale non può essere sottovalutato, e se ciascuno avesse di nuovo la propria moneta sarebbero guai ancora più seri per i Paesi deboli.
In parlamento avete usato parole dure contro Schäuble, accusandolo di volere un’Europa tedesca. È rinato il nazionalismo in Germania? C’è di nuovo una «questione tedesca» in Europa?
È una discussione che c’è anche nel nostro Paese: la preoccupazione è nostra, ma anche dei Verdi, ad esempio. La classe dirigente tedesca, anche economica, persegue una politica egemonica: non c’è dubbio.
Io penso però che non dobbiamo fare l’errore di utilizzare anche a sinistra argomenti nazionalistici: la critica deve dirigersi verso l’élite politica ed economica tedesca, non verso «la Germania» come tale. Dobbiamo articolare la questione in termini di classe, in tutti i Paesi d’Europa, e non di nazioni.
Qual è il messaggio che dalla Linke mandate alle forze di sinistra e di alternativa dell’Europa mediterranea?
Ne abbiamo uno in particolare per voi italiani: abbiamo urgente bisogno di un forte partito di sinistra, moderno e pluralista, nel vostro paese.
Negli stati economicamente forti è fondamentale che le forze collocate a sinistra della socialdemocrazia riescano ad incidere davvero, rappresentando larghi settori sociali. Purtroppo, dai partiti socialdemocratici non possiamo aspettarci nulla: e le vicende di questi giorni lo hanno dimostrato.
Podemos è un modello interessante dal suo punto di vista?
Ha sicuramente consenso in Spagna, e questo è positivo. Ma devo dire che io non condivido il loro discorso sul superamento dell’alternativa «destra-sinistra», che secondo me invece resta valida.

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