Per un attimo è stato come rivivere le tragedie che hanno sconvolto le loro vite: un uomo giovane steso a terra ammanettato, il volto pieno di sangue e circondato da tre agenti. «Che fate, lasciatelo stare», ha urlato Guido Magherini. «Tiratelo su, mio figlio è morto così». Suo figlio è Riccardo Magherini, l’ex calciatore della Fiorentina morto il 3 marzo scorso a Firenze dopo essere stato fermato dai carabinieri. Tre sere fa Guido si trova a Roma per partecipare con Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, a una iniziativa in ricordo di Dino Budroni, morto durante un inseguimento della polizia. Con loro, in macchina, c’è anche l’avvocato Fabio Anselmo. «A un tratto a un semaforo davanti a noi mi accorgo che c’è un parapiglia», racconta Guido. «Tre agenti della polizia penitenziaria stavano arrestando un ragazzo che pesava al massimo 45-50 chili, era esile. Lo prendevano a calci nelle ginocchia per farlo stendere a terra», ricorda. La scena avviene in piazzale del Verano, di fronte all’ingresso del cimitero monumentale. «Ilaria ha fermato la macchina e siamo corsi verso quelle persone. Ho detto agli agenti che dovevano mettere in piedi il ragazzo, perché ormai era in manette e non c’era motivo di tenerlo ancora steso in terra». Una versione confermata anche da Ilaria Cucchi. «Quel ragazzo era a terra, con il viso pieno di sangue», ricorda. «Inizialmente mi hanno risposto male – racconta ancora Guido – poi gli ho detto chi ero. Gli ho detto ’guarda che mio figlio è morto così’ e allora hanno cambiato atteggiamento. Mi hanno risposto che non erano stati loro a conciare in quel modo il ragazzo, che già sanguinava quando erano arrivati». A quel punto Ilaria Cucchi spiega di aver chiamato il 118 chiedendo l’intervento di un’ambulanza e di aver denunciato l’episodio al commissariato di Porta Maggiore.
Versione diametralmente opposta quella fornita dal Sappe, il Sindacato di polizia penitenziaria, che minaccia anche di denunciare la sorella di Stefano Cucchi. Per il sindacato la pattuglia è stata fermata dall’autista di un autobus che ha avvertito gli agenti penitenziari di una rissa in corso tra due donne e un uomo. «I colleghi hanno messo fine alla rissa e chiamato subito il 118», spiega il segretario del Sappe, Donato Capece. «Non c’è stato nessun tipo di maltrattamento da parte loro, che hanno ammanettato l’uomo solo per evitare che la situazione digenerasse ulteriormente. Comunque alla fine le tre persone coinvolte nella rissa sono state denunciate e rilasciate». Poi l’annuncio di voler querelare Ilaria Cucchi; «La signora ha trasformato mediaticamente l’operazione dei colleghi nell’ennesimo caso di ’caccia alle streghe’ – dice Capece – Quindi abbiamo deciso di quererarla a difesa dell’onore e del decoro della polizia penitenziaria».
«Possono dire quello che vogliono, ma quello a cui abbiamo assistito era un contesto violento», commenta l’avvocato Fabio Anselmo, presente anche lui al fermo del giovane. «Ho visto la colluttazione tra gli agenti e il ragazzo, che aveva la faccia coperta di sangue. Se poi questi atti fossero giustificati o meno non spetta a noi deciderlo», prosegue il legale. E sulla stessa linea anche Ilaria Cucchi: «Io faccio il mio dovere di cittadina», spiega la sorella di Stefano. «Ho riportato quanto ho visto senza ingigantire e senza inventare niente. Il mio interlocutore è comunque il ministero della Giustizia, non il sindacato o Capece. Facciano pure quello che vogliono».