«Dipingerci come economisti grillini è ridicolo». Riccardo Realfonzo, economista da sempre impegnato in battaglie politiche di sinistra, nel dicembre 2008 ha fondato la rivista on line «Economia e politica». Un articolo dell’ultimo numero ha destato parecchio scalpore: una simulazione delle coperture necessarie a far partire il reddito di cittadinanza. Nell’articolo si arriva a 15 miliardi spostando le poste attuali per 80 euro di Renzi (9 miliardi di «sgravi fiscali per ceti medi») e Reddito di inclusione (2,75 milardi) più altri fondi sociali.

Professor Realfonzo, così lei è a capo di un gruppo di economisti, fra cui Pasquale Tridico, che stanno cercando le coperture per il Reddito di cittadinanza?
Sciocchezze. Io non ho avuto alcun rapporto con la politica e la nostra stima non deriva da una commessa politica. Quanto a Pasquale Tridico, da tempo collabora con noi. L’articolo fa semplicemente parte di una serie di approfondimenti sulla necessità di introdurre una forma di reddito minimo anche in Italia. Ho letto anch’io un articolo del Corriere che ci affibia un ruolo non nostro con una lettura completamente distorta del nostro lavoro.

Entriamo nel merito della proposta: perché siete favorevoli al reddito di cittadinanza?
Coerentemente con il nostro percorso, valutiamo un reddito di cittadinanza condizionato come un primo passo importante per combattere la povertà e dare una garanzia minima a milioni di persone.

In Europa esistono altri modelli però, come il reddito minimo garantito.
Sì, esistono redditi minimi garantiti sotto varie forme in Danimarca, Lussemburgo e Belgio. Mentre forme più simili al reddito di cittadinanza esistono in Francia e Germania. Secondo noi il reddito di cittadinanza condizionato all’iscrizione ai Centri per l’impiego, ad attività di formazione e disponibilità ad attività di reintegrazione è il modello più percorribile e praticabile.

Perché bocciate il Reddito di inclusione (Rei) proposto e appoggiato da Terzo settore e sindacati?
Non lo bocciamo. Lo facciamo confluire nel reddito di cittadinanza. Nel Rei comunque il progetto finalizzato e il ruolo dei comuni creavano delle costrizioni troppo alte per le persone coinvolte. Il reddito di cittadinanza è più semplice: un’integrazione per raggiungere i 780 euro, livello dell’Indicatore di povertà economica dell’Ue, usando indicatori Istat per aumentarlo rispetto al numero dei familiari. Sebbene anche qui ci siano zone d’ombra.

Si riferisce alle 8 ore di lavoro gratis per i Comuni?
No, quelle mi sembrano positive.

Torniamo alle vostre stime: 15 miliardi per dare il reddito di cittadinanza a 2,2 milioni di persone. Ma in povertà assoluta ci sono 5 milioni di cittadini…
E difatti si tratta della stima per una prima introduzione, mostrando la praticabilità di questa strada senza dover reperire nuove risorse. Volevamo dimostrare che si può fare.

Si tratterebbe comunque di una piccola redistribuzione: gli 80 euro di Renzi vanno a chi guadagna 1.500 euro al mese.
Sì, una redistribuzione per combattere la povertà. Fra l’altro gli 80 euro hanno avuto un’utilità ben scarsa per far ripartire domanda interna e crescita.

Quindi per voi però servirebbe ben altro, sbaglio?
Certo. Siamo economisti keynesiani contro i vincoli di bilancio. Servirebbe una redistribuzione molto grande tramite rivisitazione delle aliquote fiscali e una patrimoniale sui redditi alti.

Invece nel programma di governo c’è la Flat tax…
Una follia, una misura nociva per la crescita e tutta la nostra economia.

Voi però con questa stima sul reddito di cittadinanza appoggiate una parte di quella stessa manovra economica.
Noi siamo dalla parte del lavoro e dei lavoratori. Rispetto al governo ci muoviamo in un’ottica pragmatica. Abbiamo apprezzato il decreto Dignità, anche se insufficiente.

Insisto. Non c’è il rischio con le vostre posizioni da tecnici di legittimare il governo di Salvini?
Questo rischio non lo vedo. Augusto Graziani, il mio maestro, criticava «il camice bianco dei tecnici». «Economia e politica» appoggia la causa del lavoro in un’ottica progressista e fa le pulci con proposte e critiche feroci alle politiche di tutti i governi. Se c’è un provvedimento che condividiamo ciò non significa che condividiamo l’operato di tutto il governo.

Tornando alla manovra: non le sembra che in Italia ci sia il tabù dell’Iva?
L’aumento dell’Iva sarebbe un freno alla crescita. Ma se i 12 miliardi per non farla alzare fossero usati per politiche industriali e investimenti pubblici, il loro effetto sarebbe molto più espansivo.