«Abbiamo lasciato in mare solo i corpi senza vita di una donna e un bambino dopo aver provato a rianimarli. Non c’era nessun altro in acqua» è la nuova versione che il colonnello della Guardia costiera di Misurata, Tofag Scare, ha dato a La Stampa di ieri. Oggetto dell’intervista l’accusa dell’Ong catalana Proactiva open arms di aver affondato il 16 luglio un gommone al largo della Libia lasciando in acqua due donne e un bambino perché si rifiutavano di salire sulla motovedetta verso Tripoli. A salvarsi la sola Josefa: portata a bordo dai volontari, arriverà oggi a Maiorca sull’Open arms. Martedì il racconto degli attivisti è stato bollato dal ministro degli Interni, Matteo Salvini, come una «fake news», il portavoce della Marina di Tripoli, Ayoub Qasem, aveva dato una versione differente da quella di Scare: «Probabilmente alcuni migranti sono annegati prima dell’arrivo delle motovedette». Nessuno a Tripoli sa spiegare la presenza di Josepa tra i relitti del gommone.

Scare ricostruisce così l’intervento: «La motovedetta Ras al Jade è andata a soccorrere 165 persone. Dopo averci chiamato, il mercantile Triades è rimasto ad attenderci ma, nel frattempo, non ha neppure dato loro da mangiare e da bere. Non avevamo alcuna ragione di abbandonare in acqua delle persone vive: anche se si fossero rifiutate le avremmo tirare su a forza, lo abbiamo fatto con gli uomini. Abbiamo lasciato in mare solo i due corpi senza vita: secondo la legge libica vanno identificati prima di essere sepolti o rimandati a casa e dunque, in questi casi, vengono lasciati al mare».

Proactiva open arms ha annunciato una conferenza stampa per stamattina: «Denunceremo l’omissione di soccorso da parte della cosiddetta Guardia costiera libica e del mercantile Triades. Questo episodio e l’aumento dei morti nel Mediterraneo sono la conseguenza diretta della criminalizzazione delle Ong. L’obiettivo è legittimare le milizie libiche per ridurre in questo modo gli arrivi in Europa».

Con i volontari catalani c’è anche il deputato di Leu Erasmo Palazzotto, che ieri ha ribadito: «Davanti alle dichiarazioni del comandante della Guardia costiera libica, che nei fatti conferma la versione di Open arms, ritengo che il ministro degli Interni italiano debba chiedere scusa e, se fossimo in un paese serio, dovrebbe anche rassegnare le dimissioni. Ci troviamo o davanti a un ministro incompetente oppure a una consapevole complicità con i libici nel tentativo di depistaggio». Palazzotto chiede al governo di interrompere le relazioni con la Marina di Tripoli: «Un paese civile non può avere rapporti con un’organizzazione che abbandona il cadavere di un bambino in mezzo al mare».

Sono invece riusciti a sbarcare in Italia 57 tunisini: individuati al largo di Pantelleria, sono stati soccorsi dalla Guardia costiera e Guardia di finanza italiane. Sono approdati giovedì notte a Trapani ma Salvini promette che la permanenza sarà lampo: saranno tutti rimpatriati a partire da lunedì grazie all’accordo in vigore tra Roma e Tunisi.

È invece ancora ferma di fronte alla costa tunisina di Zarzis la nave cargo Sarost 5 con 40 migranti soccorsi sabato scorso: «Abbiamo contattato il porto e gli unici che ci rispondono sono i militari, dicono di attendere istruzioni» ha spiegato il comandante. A bordo ci sono due donne incinte. All’inizio i migranti avrebbero chiesto di non essere sbarcati nel paese, poi avrebbero cambiato idea. La nave non ha ottenuto il permesso per attraccare perché, secondo il Foro tunisino per i Diritti economici e sociali, Tunisi non vuole che il paese venga considerato «porto sicuro» dove poi dirigere nuovi sbarchi.