«Abbiamo fatto la scelta più difficile, che era anche la più giusta»
La lettera Questa testimonianza, scritta da Antonio Rullo, ex combattente e presidente dell’associazione Brigata Maiella, è stata letta ieri sul palco del Teatro Comunale di Casoli (Chieti) durante le celebrazioni del 73° anniversario della Liberazione alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha concluso la cerimonia con il suo intervento
La lettera Questa testimonianza, scritta da Antonio Rullo, ex combattente e presidente dell’associazione Brigata Maiella, è stata letta ieri sul palco del Teatro Comunale di Casoli (Chieti) durante le celebrazioni del 73° anniversario della Liberazione alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha concluso la cerimonia con il suo intervento
Avevo 16 anni quando mi sono arruolato nella Brigata Maiella. Ero da tempo orfano di entrambi i genitori e vivevo a Guardiagrele, con mia zia Maddalena e con il marito Giovanni Zulli, sulla zona del fronte. I tedeschi ci fecero sfollare il 13 dicembre 1943. Era un inverno rigidissimo. Ci incamminammo in mezzo alla neve, sulle strade di montagna, per riuscire ad attraversare la Linea Gustav e arrivare a Casoli, già liberata dagli inglesi. Mio zio entrò nel Corpo volontari della Maiella per caso: era stato un suo compaesano ad esortarlo ad arruolarsi nella formazione dell’avvocato Ettore Troilo.
Era la prima volta che gli inglesi davano fucili e mitra agli irregolari, perché fino a quel momento i partigiani erano stati sempre disarmati. Io ero diventato quasi una mascotte, perché stavo sempre insieme ai patrioti. Ma poi il dottor Vittorio Travaglini fece notare che per avere diritto alle razioni distribuite dagli inglesi, in qualche modo dovevo essere immatricolato. Era l’aprile ’44 e i volontari erano già tanti.
Quando tornammo a Guardiagrele, la trovammo completamente saccheggiata e parzialmente distrutta dai tedeschi. Non avevamo più nulla, la nostra casa era stata demolita. Si decise di rimanere e ricostruirla. La Maiella, contrariamente a quanto ci si aspettasse, una volta liberato l’Abruzzo, non si sciolse.
Da tutta la regione, a partire da giugno, erano in molti a recarsi al centro di arruolamento di Sulmona. Un giorno anche a Guardiagrele passò un camion militare e decisi di arruolarmi in quello che adesso era la Banda patrioti della Maiella. Mio zio disse che ero troppo giovane e che mi avrebbero rimandato indietro; mia zia tentò di fermarmi in ogni modo: si recò persino dai carabinieri per sporgere denuncia. Io intanto mi trovavo già a Recanati per firmare le carte. Mi chiesero quanti anni avevo e io risposi: «Diciotto». Non avevo convinto nessuno con quella bugia, ma di fronte a tanta determinazione mi rilasciarono il tesserino militare con numero 1789. Venni assegnato alla terza compagnia del capitano Giovanni Ricottilli. Arrivarono i carabinieri, con la copia della denuncia, e non so come Travaglini riuscì a mandarli via senza di me.
Ho da allora seguito i patrioti della Maiella insieme ai commilitoni polacchi nella guerra di liberazione. A gennaio 1945 sono stato mandato per la prima volta al fronte, in prima linea, nella zona di Faenza. Mi venne assegnato il turno di guardia in una postazione avanzata, dalle 2.30 alle 4.30 di notte, al gelo, in una buca scavata nella neve. Tenevo stretto il mitra e controllavo continuamente le bombe a mano nella cintura. Ad un tratto ho sentito delle voci attorno, e ho riconosciuto una pattuglia tedesca in esplorazione. Mi sono ricoperto di neve fino ad essere sicuro di non essere visto. Ad un tratto è apparso il tenente Fulvio Tecca Martini, vicecomandante della terza compagnia. Siamo stati in quella fossa fino alle 7 del mattino, per poi riguadagnare le nostre linee, eludendo il nemico.
Forse perché ero il più giovane, l’atteggiamento di tutti nei miei confronti era protettivo. La Brigata d’altronde era la proiezione dei suoi comandanti e il senso di umanità e di solidarietà non è mai mancato. Tutti davano del tu, tranne al comandante Ettore Troilo. Lui era riflessivo, comprensivo, maturo, grazie alle sue esperienze di vita e all’età. Domenico Troilo, il vice comandante, nonostante avesse solo 22 anni, era un uomo d’azione, che ponderava quello che faceva e ciò che i polacchi gli chiedevano di non fare: non espose mai nessuno a rischi inutili. I nostri rapporti con gli inglesi erano buoni, ma quelli con i soldati e gli ufficiali polacchi erano addirittura ottimi. Nelle cucine polacche non mancava mai un pasto per i bambini dei paesi devastati e per i loro abitanti.
I polacchi del generale Anders erano tanto coraggiosi di fronte al nemico, quanto compassionevoli verso chi aveva bisogno. Abbiamo combattuto insieme a loro perché volevamo contribuire alla liberazione dell’Italia, per sconfiggere il nazifascismo e conquistare sul campo di battaglia il diritto alla pace e a tornare alle proprie case. Nella Brigata Maiella si parlava qualche volta di politica ma non si faceva politica. Ettore Troilo ce l’aveva detto subito che combattevamo per l’Italia e solo questo era importante. I nostri colori sono stati sempre quelli della bandiera italiana, che portavamo al bavero al posto delle stellette. Verde, bianco e rosso: i colori di tutti gli italiani. Sulla nostra bandiera di guerra, che ha al centro il profilo della Majella, c’è una medaglia d’oro al Valor militare.
Siamo gli unici della guerra di Liberazione ai quali è stata assegnata la più alta onorificenza. Per quella bandiera 55 di noi hanno dato la vita, altri sono stati feriti o sono rimasti mutilati; tutti hanno sopportati sacrifici, rinunce e privazioni. Abbiamo fatto la scelta più difficile, che era anche la più giusta: la scelta per l’Italia, la scelta della libertà.
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