«Invece che delle smentite mi aspettavo che sarebbe stata avviata almeno un’inchiesta. Il problema è che quando si parla di tortura in Italia è sempre un problema». Riccardo Noury è il portavoce di Amnesty International Italia.

Noury, cosa risponde al Viminale che vi accusa di aver scritto un mucchio di falsità?
Sono parole pesanti, poco istituzionali. Da anni in questo paese ogni qualvolta si solleva l’esistenza di casi di maltrattamento e tortura la reazione è quella del diniego totale e dell’accusa di falsità. Quando invece noi preferiremmo che ci fossero un confronto e delle indagini. Sarebbe bello fare un passo avanti in questa interlocuzione. Le informazioni che abbiamo diffuso oggi (ieri, ndr) erano state presentate ad agosto al ministro dell’Interno Alfano, ma sembra che queste cose provochino reazioni solo quando finiscono sui giornali e non quando finiscono sui tavoli di chi poi deve reagire. Che significa che vengono lette solo quando vengono pubblicate?

Ad agosto Alfano cosa vi ha detto?
Nulla. Non ci ha neanche ricevuto. Sono mesi e mesi che chiediamo un incontro, ma non ci arriva nessuna risposta. Quando il tema delle tortura si associa all’Italia è sempre un problema ma dal 2001, da Genova in poi, mi pare che le persone che hanno subìto tortura siano centinaia e questo sarebbe un ulteriore motivo per avere il reato di tortura. Dopo di che noi abbiamo scritto nel rapporto due cose, di cui però nessuno parla: che l’Italia è impegnata da tempo in un’operazione straordinaria di ricerca e soccorso in mare dei migranti e che noi raccogliamo denunce, ma nel farlo diciamo e precisiamo che la maggior parte dei casi che abbiamo riscontrato nelle nostre ricerche in Italia il comportamento delle forze di polizia è stato professionalmente ineccepibile, che nella maggior parte dei casi le impronte digitali sono state raccolte senza incidenti.

Le denunce che avete presentato sono però tutte anonime.
In tutto abbiamo incontrato 170 persone, un numero superiore a venti ci ha riferito di maltrattamenti e in alcuni casi anche di trattamenti equiparabili alla tortura. E’ una procedura che Amnesty international segue da oltre mezzo secolo quella di proteggere l’identità delle persone che denunciano qualora lo richiedano e qualora queste persone, come nel caso di quelle che abbiamo incontrato, siano in condizioni di particolare vulnerabilità, perché sono cittadini stranieri, perché sono appena arrivati e perché molti di loro vorrebbero lasciarsi alle spalle l’esperienza avuta l’Italia piuttosto che affrontare un procedimento che li costringerebbe a restare nel nostro paese per non si sa quanto tempo. Queste persone le abbiamo intervistate sappiamo chi sono, non vedo quale sia il problema.

Perché non vi siete rivolti alla magistratura denunciando quanto avevate saputo?
Il nostro compito non è quello di rivolgerci alla magistratura. Siamo un’organizzazione per i diritti umani che fa ricerche e pubblica rapporti che poi consegna alle istituzioni competenti. Abbiamo presentato quanto saputo al ministero dell’Interno, quanto meno ad agosto le risultanze di una missione fatta a Ventimiglia. Ma anche questa volta non c’è stata risposta. Aggiungo che se la persona non intende denunciare ma vuole raccontare ad Amnesty international non è che poi noi denunciamo per conto di questa persona.

Negli hotspot sono presenti anche altre organizzazioni: Unhcr, Oim, Save the Children. Possibile che nessuno abbia saputo niente delle violenze subìte da alcuni migranti?
Non abbiamo la pretesa di aver registrato ogni singola intervista che viene fatta negli hotspot. Queste organizzazioni ci sono ma non è detto che partecipino sistematicamente a tutte le interviste che vengono fatte ai nuovi arrivati. Può essere che i casi in cui è andata peggio siano quelli in cui non c’era nessuno e questa è una delle possibili spiegazioni. Aggiungo che quanto abbiamo denunciato non è una novità assoluta perché di maltrattamenti negli hotspot se ne sente parlare da tempo. Anzi, il nostro timore era che avendo fatto una ricerca tanto accurata, tanto attenta e tanto verificata fossimo arrivati per ultimi e che la notizia non ci fosse. Mi pare invece che non sia così.