Spero anch’io, come tanti e tante, che alla fine dell’anno voi possiate dire: «ci siamo ripresi la testata». E non solo perché conservo la memoria di quando, nella mia precedente attività, trovavo sulle vostre colonne ospitalità e sostegno alle battaglie per i diritti dei migranti e dei rifugiati. La gratitudine c’entra, ma non è la molla decisiva.

Il fatto è che oggi l’editoria attraversa una crisi così profonda e diffusa da preoccupare chiunque abbia a cuore la qualità del dibattito pubblico, di cui anche la vita istituzionale e politica si alimenta. I giornali di partito hanno subìto una vera e propria morìa: domenica scorsa è andato in edicola l’ultimo numero della «Padania», come era successo negli ultimi mesi a «l’Unità» ed a «Europa». Conducono un’esistenza stentata, quando riescono a sopravvivere, quasi tutte le voci di tendenza, di opinione, di idee. E tranne rare eccezioni non se la passa bene – tra calo della pubblicità, contrazione delle copie vendute, ristrutturazioni – nemmeno l’informazione tradizionalmente più solida, quella supportata da nomi di peso dell’industria e della finanza.

Consolarsi pensando che «tanto c’è la rete, le notizie ci arrivano comunque» è una risposta molto debole. Debole perché la rete è un oceano nel quale ci sono sì isole di qualità informativa, ma anche tanto materiale limaccioso.

Un esempio per riderne insieme: da giorni rimbalza qua e là la «notizia» che «la Presidente Boldrini vuole impedire la celebrazione nelle scuole del Natale cristiano». Dove la vai a smentire? E può andare molto peggio, quando l’aggressività si scatena. Ma la risposta è debole soprattutto perché un giornale non è principalmente un fornitore di notizie. Un giornale è altro, è una lettura della realtà, una gerarchia dei problemi, una scelta di valori, una visione del mondo. Ogni voce che si spegne, anche quella che ciascuno sente come più distante dalla propria, è un impoverimento di tutti, perché è un punto di vista in meno. Ma di tanti punti di vista abbiamo bisogno anche noi delle istituzioni, per trovare soluzioni che aiutino a superare una crisi di particolare durezza.

Lo stato dell’editoria deve preoccuparci perché, come in politica non vogliamo che vivano soltanto le forze che dispongono di sostenitori ricchi, allo stesso modo nell’informazione non vogliamo che possa parlare soltanto chi ha alle spalle qualche potenza economica.

È una domanda che ci si pone anche fuori d’Italia, quella sui modi per garantire l’autonomia, e non mancano esperienze anche prestigiose in cui i giornalisti hanno preso in mano la sorte, anche economica, della testata ed hanno fatto del rapporto coi propri lettori il fondamento dell’indipendenza. Vorrei poter presto leggere che avete tagliato il traguardo. Sarebbe l’indicazione di una via che, per uscire dalla crisi, anche altri potrebbero imboccare. Essere protagonisti del proprio futuro, scommettere sulla forza delle idee, investire sul capitale umano ai tempi del dominio del capitale finanziario. Un bel messaggio contro la rassegnazione.

* l’autrice è presidente della Camera