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Abbattuto drone in Turchia, Erdogan tenta di rientrare nel conflitto dalla finestra

Abbattuto drone in Turchia, Erdogan tenta di rientrare nel conflitto dalla finestraUn aereo da guerra turco – Reuters

Siria/Iraq Mosca smentisce: «Non si tratta di un nostro aereo». Sul campo Assad lancia la controffensiva su Aleppo, Baghdad riprende il 60% di Baiji e pensa all'Anbar

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 17 ottobre 2015

Di chi era il drone che ieri i turchi hanno detto di aver fatto precipitare? Ankara e Washington sospettano sia russo, Mosca nega. Secondo l’esercito turco, un velivolo – forse un drone – di origini ignote ha violato lo spazio aereo lungo il confine con la Siria. Poco dopo, «è stato abbattuto dal fuoco di uno dei nostri aerei di pattuglia, secondo quanto previsto dalle regole di ingaggio». La tv turca Ntv ha mostrato soldati esaminare il luogo dello schianto, a tre km dal confine siriano, all’interno del territorio turco.

Da Washington un funzionario, in condizione di anonimato, riportava i sospetti della Casa Bianca: si sarebbe trattato di un velivolo russo, seppure le informazioni a disposizione siano ancora preliminari. Immediata è giunta la reazione di Mosca: il Ministero della Difesa ha fatto sapere che tutti i propri aerei e droni operativi in Siria sono ritornati «alla base di Hmeimim come previsto, dopo aver completato i propri compiti».

La battaglia di propaganda prosegue spedita. Quello che però il presunto abbattimento del drone ci dice è che il presidente Erdogan non intende mollare. Spinto in un angolo del conflitto che per anni lo ha visto protagonista (negativo), il novello sultano che sovrappone autorità e autoritarismo sta perdendo la guerra. Sia quella contro il presidente siriano Assad che quella contro i kurdi. Non solo per colpa della Russia: la Casa Bianca ha cancellato il programma di addestramento in Turchia di potenziali combattenti anti-Assad e deciso di investire quel denaro per armare i kurdi della Rojava, spauracchio di Erdogan. Che per frenarne la disarmante influenza aveva progettato una zona cuscinetto lungo la frontiera, mai realizzata.

L’intervento di Mosca ha infranto i sogni del presidente turco che per rientrare in gioco ha puntato sul Patto Atlantico. Per due volte nelle settimane scorse Ankara ha accusato la Russia di violazione del proprio spazio aereo, accuse a cui è seguito l’intervento della Nato che ha prospettato il dispiegamento di truppe sul suolo turco nel caso di minaccia. Agli alleati atlantici avere il bastione turco a due passi dalla Siria fa comodo, non tanto per avvallarne i piani quanto per usarlo come giustificazione a interventi anti-Mosca. Interventi a parole, nessuno pare interessato ad uno scontro militare che infiammerebbe le crisi mediorientali e europee.

Soprattutto alla luce degli attuali equilibri di potere: il ritrovato ruolo di Mosca e la contemporanea scomparsa delle opposizioni moderate pro-Occidente stanno significativamente rafforzando il presidente Assad. La prospettata controffensiva per la ripresa di Idlib e Hama si è presto trasformata in un’operazone per Aleppo: ieri le truppe siriane, sostenute da milizie sciite (si parla di centinaia di iraniani) a terra e jet russi dal cielo, hanno attaccato gruppi di ribelli a sud di Aleppo, nell’area di Jebel Azzan, a 12 km di distanza. Bombardamenti russi hanno colpito anche diverse comunità tra Homs e Hama, secondo attivisti anti-Assad decine di civili sarebbero stati uccisi.

Ovviamente di tutt’altro tenore sono le parole del presidente russo Putin che ieri magnificava «gli impressionanti risultati» della campagna aerea siriana: «Decine di depositi di munizioni, centinaia di terroristi e un ampio numero di armi sono stati distrutti».
Putin ha evitato di parlare di Iraq, dove la presenza russa per ora si muove a livello di intelligence: la creazione del centro direttivo congiunto di russi, iraniani, siriani e iracheni a Baghdad starebbe dando i primi frutti. L’obiettivo della controffensiva anti-Isis messa in piedi dal governo negli ultimi giorni è riprendere definitivamente la raffineria di Baiji, nella provincia di Salah-a-din, e gettare le basi per la tanto annunciata operazione nel governatorato confinante, Anbar, al confine con la Siria.

Ieri esercito iracheno, unità di contro-terorrismo e migliaia di miliziani sciiti delle Hashed al-Shaabi hanno guadagnato ulteriore terreno intorno alla raffineria: «Abbiamo ripreso la zona industriale e alcuni quartieri, controlliamo il 60% della città: ci sono pochi miliziani dell’Isis e ora sono in trappola», ha fatto sapere un colonnello dell’esercito di Baghdad.

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