Dato ieri nella Knesset dallo scrutinio provvisorio e divenuto l’ago della bilancia di una possibile maggioranza di governo, il partito islamista Raam mette le mani avanti. «Non ci siederemo accanto a razzisti che minacciano la moschea di Al Aqsa» ha fatto sapere attraverso un portavoce riferendosi a Sionismo Religioso, la lista con il partito razzista Otzma Yehudit alleata del Likud del premier Netanyahu. «Tutte favole, quelli di Raam vogliono stare al governo, qualunque esso sia, destra o sinistra, poco importa», ci dice Adel Masarwa, un militante della Mustarake, la Lista unita araba uscita dal voto con le ossa rotte – ha perso più della metà dei 15 deputati che aveva conquistato alle elezioni un anno fa – anche per la decisione di Raam di correre da solo.

Questa formazione islamista è destinata a passare alla storia di Israele, anche se lo spoglio completo dei voti finirà per metterla fuori dalla Knesset. Il suo leader, Mansour Abbas, è politicamente spregiudicato, almeno quanto Netanyahu. Ripete ad ogni occasione che Raam «non è né di destra né di sinistra» e di essere pronto ad allearsi con qualsiasi schieramento di partiti sionisti, a prescindere dal colore politico. «Vogliamo contattare le due parti (Netanyahu e i suoi avversari, ndr) – ha detto ieri – Se viene presentata una proposta valida per gli arabi in questo paese, ci siederemo e ne discuteremo con i nostri interlocutori». Parole che fanno inorridire tanti palestinesi d’Israele ma che raccolgono anche parecchi consensi tra chi vuole contare di più del sistema statale sionista. Il suo successo elettorale è stato uno smacco per la Mustarake, formata da comunisti, nazionalisti e progressisti. Nei centri arabi rurali o più piccoli, ha ottenuto consensi enormi. A Kufr Qassem, Tamra, Sakhnin, Houra, Kufr Manda, Tel Saba, Arara, Jaljuliya, Kassifa e in altre località ha pareggiato o sbaragliato i rivali arabi. Se il numero di seggi rimarrà quello di ieri, Raam da solo ha preso quasi gli stessi voti degli altri tre partiti arabi messi insieme.

Le scelte di Mansour Abbas e del suo partito fanno emergere una minoranza araba israeliana spaccata a metà tra il nazionalismo laico e progressista dei centri urbani che lotta anche per i diritti civili e Lgbt e l’islamismo conservatore che attira un numero crescente di palestinesi d’Israele, specie tra le famiglie a basso reddito e nelle regioni più emarginate. Un islamismo pronto a dialogare con le istituzioni israeliane, figlio delle idee di Abdallah Nimr Darwish che nel 1971 a Kufr Qasem fondò il movimento islamico in Israele. Imprigionato e rilasciato con lo scambio di prigionieri del 1985, Darwish adottò a sorpresa una posizione a favore dell’integrazione dei musulmani nello Stato ebraico e del riconoscimento dello Stato di Israele. Anni dopo il movimento islamico si sarebbe diviso in due parti, con un’ala dura in Alta Galilea guidata da Raed Salah (incarcerato più volte) e una moderata a Kufr Qassem guidata da Darwish e ora da Mansour Abbas.