Una passione smodata per il soul messa a frutto con i Durand Jones & The Indications, formazione statunitense che negli ultimi anni ha realizzato dischi dando nuova linfa al più classico degli stili americani. Senza separarsi dal gruppo, Aaron Frazer batterista e anche voce ha dato alle stampe il suo esordio solista – Introducing… – una coproduzione per Dead Oceans e Easy Eye Sound, ovvero l’etichetta discografica fondata da Dan Auerbach. E proprio l’altra metà dei Black Keys ha prodotto l’album aggiungendo a canzoni già di per sè ricche di armonie e intuizioni melodiche, influenze disco, gospel e doo-wop. Registrato a Nashville in tempi strettissimi – appena una settimana – il disco vede la partecipazione di session men come il percussionista Sam Bacco e storici musicisti della scena black. Passioni amorose ma non solo nei testi: Bad News affronta il tema del cambiamento climatico, ma è la musica a tener banco insieme ai tanti maestri a cui Frazer rende omaggio soprattutto quelli di scuola Motown, Marvin Gaye in testa…

Sembra incredibile che in un mondo musicale dominato dalle hit elettroniche usa e getta, qualcuno abbia ancora voglia di recuperare la tradizione dei sessanta e settanta…

C’è qualcosa in quegli anni che mi ha sempre affascinato: canzoni pop di elegante scrittura ma che non temevano…le sgrammaticature. Pop ma senza l’ossessione del primo posto. Trovo tutto questo molto umano e stimolante.

Un debutto impegnativo e riuscito. Com’è nato?

In assoluto è stato il momento più fertile nella mia carriera d’autore. Di solito ci impiego molto a comporre perché voglio che tutto suoni perfetto. Ma Dan mi ha messo sotto pressione perché voleva sollecitare il mio intuito, ma allo stesso tempo voleva evitare che tutto suonasse troppo levigato. Così ho fatto tutto in quattro giorni, il mio obiettivo era di trovare il pezzo giusto mantenendo però alta la scrittura. E credo che ci siamo riusciti..

«Introducing…» vuole essere una parentesi nella sua militanza con i Durand Jones o potrebbe essere l’inizio di una nuova fase artistica?

Continuerò a fare entrambe le cose. Amo la musica soul ma anche altri stili. È stato fantastico avere un posto dove sperimentare cose che potrebbero non essere adatte alla band ed esplorare queste altre influenze. Hip hop, gospel, country, rock n roll, r’n’b degli anni ’90, disco, sono tutti generi che amo e sono tutti rappresentati nel mio lavoro solista. Ma d’altra parte, ho anche un legame così speciale con i miei compagni di band: non potrei assolutamente abbandonarli.

So che Dan Auerbach si è letteralmente offerto di produrre il disco. Cosa lo ha spinto e soprattutto come è stato lavorare con lui?

Lavorare con Dan è stato un sogno, perché sono da sempre un vero fan dei Black Keys. I loro album mi hanno insegnato a cantare oltre che a comporre. Due anni fa ho ricevuto una telefonata da Dan, è stato surreale perché ho sempre avuto la sensazione che le nostre strade potessero incrociarsi. Aveva ascoltato un mio pezzo, Is It Any Wonder, mi ha detto che amava molto il mio falsetto e che voleva fare un disco con me. Il suo approccio alla produzione e alla scrittura è fantastico: ha messo insieme la mia band in studio e ha anche portato un paio di cantautori leggendari come L. Russell Brown che ha regalato successi per Frankie Valli.

La pandemia ci ha costretti a ripensare a un nuovo mondo. Le sue canzoni – tuttavia – suonano come una panacea, un modo per lenire i nostri dolori attraverso una serenità che avevamo rimosso. Era questo il suo obiettivo?

Sì, anche prima del Covid esistevano praticamente tutti questi problemi sistemici. La pandemia li ha messi a nudo: sanità gestita male, polizia violenta, razzismo, senzatetto, apartheid alimentare, disparità economica, cambiamento climatico. La pandemia ha messo in chiaro che siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri, e in particolare chi svolge mansioni più umili: la classe operaia come gli addetti ai servizi igienico-sanitari, gli impiegati di drogheria, i conducenti di consegne, nonché il mutuo aiuto della comunità per mantenere a galla la nostra società.

Il suo stile si nutre di black culture, al centro del dibattito americano in un momento di forti tensioni razziali esacerbate dai quattro anni di presidenza Trump. Ora con Biden si cerca di correggere la rotta. Ma la tensione resta alta: la polizia spara, la gente scende in piazza. Qual è la tua opinione su tutti questi eventi?

Devo così tanto alla cultura nera. È incalcolabile e difficile da esprimere completamente a parole. Nella mia vita professionale ho anche una responsabilità quando mi viene data l’opportunità di parlare della mia arte per far sapere alla gente che è radicata nella musica afroamericana. Gil Scott-Heron, Curtis Mayfield, Smokey Robinson, Darondo, Sorella Rosetta Tharpe, Ray Charles, sono ispirazioni costante nel mio bagaglio personale. Il problema è nel racconto distorto che si è fatto del nostro passato. Dicono che la storia sia stata scritta dai vincitori, è assolutamente vero. I libri di storia con cui siamo cresciuti negli Stati uniti hanno evidenziato i suoi momenti di rettitudine, ma quando pratichi l’empatia ed espandi la tua prospettiva, è chiaro che l’ideale «libertà e giustizia per tutti» non corrisponde al vero. Ci sono molte grandi cose sull’America, molte ragioni per cui sono orgoglioso di essere nato qui, ma anche troppi momenti vergognosi.