Lo sfogo su Facebook di una donna in pensione, Teresa Shook, si è trasformato in pochissimo tempo nella più grande marcia mondiale di donne. Il giorno dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa, la Shook aveva immaginato cosa sarebbe accaduto se le donne avessero marciato su Washington. Subito ha ricevuto le prime 100 adesioni. Oggi sono 170mila.

L’evento è stato ripreso da organizzazioni nazionali di donne e associazioni per i diritti umani. Un fiume in piena: l’iniziativa lanciata dalle organizzatrici statunitensi della Women’s March contro il presidente eletto Trump nel giorno del suo insediamento, si è allargata a macchia d’olio. Da Washington a 50 città americane fino a 20 paesi esteri.

Questo accadrà il 21 gennaio prossimo: centinaia di migliaia di donne scenderanno in piazza a difesa dell’uguaglianza di genere, che considerano messa in serio pericolo da un inquilino della Casa Bianca accusato di misoginia, razzismo e omofobia.

«Radunarsi per la giustizia» è lo slogan della marcia che ha lo scopo, dicono le organizzatrici, di «ritrovarsi per esprimere alla nuova amministrazione e al Congresso che i diritti delle donne sono diritti umani e che il nostro potere non può essere ignorato». «La retorica delle passate elezioni ha insultato, demonizzato e minaccia molti di noi – aggiungono – Immigrati di ogni status, musulmani e chi professa religioni diverse, persone che si identificano come Lgbtqia, nativi, neri, disabili, sopravvissuti a violenze sessuali».

Si partirà il 21 gennaio alle 10 dal Lincoln Memorial per terminare di fronte alla Casa Bianca nel pomeriggio. E nei giorni scorsi nuove adesioni sono state registrate, dopo il sostegno garantito da figure di spicco del femminismo Usa, come Gloria Steinem: oltre alla capitale, si terranno marce in altre 50 città statunitensi e in 20 capitali del mondo, dalla Gran Bretagna all’Australia, dalla Svizzera alla Norvegia.