Manifestazione, oggi, a Ventimiglia “per la libertà di movimento”. A convocarla, il presidio No Border, autogestito per oltre tre mesi da migranti e attivisti ai Balzi Rossi.

Il 30 settembre – scrivono gli attivisti – “due ruspe e tre camion hanno distrutto il luogo di solidarietà, costruito grazie al supporto dei migranti in viaggio e dei solidali di tutta Europa. Hanno pensato che oltre alle tende, alla cucina, alle docce, avrebbero demolito anche il cuore della lotta No Borders. Si sbagliano”.

La mobilitazione, dunque, continua, collegandosi al quadro internazionale: perché quel che accade a Ventimiglia, succede anche altrove: Choucha, Lampedusa, Calais, Parigi… “altri luoghi di resistenza”, dentro e fuori la “Fortezza Europa”. Spazi di transito – scrivono i No Border – dove alla violenza del viaggio, dei maltrattamenti subiti dalla polizia e dai trafficanti, si unisce la violenza del confine materiale, una linea immaginaria militarizzata senza pudore. La violenza di un limbo in cui i migranti diventano pedine da ripartire tra vari stati in un gioco di un’ambiguità legislative”.

La violenza dei trattati che, come Dublino III, vincola la domanda d’asilo al primo paese d’arrivo. Dopo lo sgombero, la prima assemblea del No Border Camp “in esilio” ha deciso di non fermarsi: in attesa che “le soluzioni” pensate “non portino all’apertura del confine. Ci hanno tolto casa ma non ci hanno fermato. Oggi siamo più forti, più determinati e ancora più uniti”, scrivono.

E moltiplicano la stessa consegna: We are not going Back. Non si torna indietro.