«Les miserables» del XXI secolo, che la Francia rifiuta e l’Italia non tollera, sono buttati sotto colorati tendoni di plastica, intorpiditi dal caldo, dal digiuno del Ramadan, dal vento, dalla pioggia, e dal nulla.

Passa un cabriolet lungo la Aurelia, si sporge un braccio, il tempo di fare una foto al volo con lo smatphone e poi via, verso la costa, le spiagge, il mare, un fresco gelato.

Loro, i migranti, in buona parte non sanno neanche in quale parte del globo terracqueo sono posizionati: ripetono nomi di paesi lontani, Svezia, Germania, Danimarca, Austria, e così ci si domanda quale alchimia abbia portato questi esseri umani sugli scogli della Costa Azzurra, a un passo dal centro colorato di Mentone e dal suo bel porticciolo ricco di yacht.

L’inutile Francia e gli scogli di Ventimiglia altro non sono che tappe del viaggio all’inferno, partito da chissà dove. Molti sono Sudanesi, poi Libici e Eritrei. Non sono arrabbiati, sono passivi, intorpiditi. Per questo ieri non hanno partecipato al corteo che si è sviluppato per le vie di Ventimiglia. Un serpentone composto da circa cinquecento persone arrivate da tutta Italia, che hanno manifestato solidarietà umana e politica senza alcun disordine. Un lungo striscione con la scritta «siamo tutti cittadini del mondo, no alle frontiere» apriva la manifestazione, in cui si poteva notare la presenza dei migranti torinesi che da tempo occupano alcune palazzine olimpiche abbandonate da alcuni anni. Il movimento Notav era presente con circa cento persone, partite all’alba dalla Val Susa. Un viaggio complicato il loro, più volte fermato lungo il suo percorso per controlli di polizia.

Ma loro, i migranti non c’erano, se non in numero esiguo. Catatonici, disfatti dalla stanchezza, per loro il campo profughi italo francese dove sono buttati altro non è che una tappa del supplizio iniziato dalle loro case distrutte dalla guerra, e proseguito su un barcone e perigliosamente non affondato. Ventimiglia è solo una tappa prevista.

Il governo di Hollande ha deciso che i migranti devono rimanere lì, non possono entrare, e probabilmente devono essere un esempio: il vostro inferno continuerà anche quando poserete il piede nella terra promessa del diritto, l’Europa.

Gli uomini abbandonati al loro destino, gettati sugli scogli arroventati dal sole, battuti dal vento e dalla pioggia, devono essere l’anatema feroce che il mondo ricco spedisce al mondo povero: non osate partire, questa sarà la vostra fine. Non c’è pietà da queste parti, se non quella di chi porta un sacchetto di biscotti e un ombrellone. E le molte troupe televisive provenienti da ogni parte del mondo, una presenza smaccatamente sovradimensionata rispetto l’esiguità dei migranti presenti, rimbalzano questo messaggio ovunque.

Apparentemente il numero complessivo dei migranti è però sceso. Ma risulta improbabile che la Francia abbia allentato la sua politica ferma sulla barra dei respingimenti. Secondo la Croce Rossa il numero di «rientri» in Italia è passato da cinquanta di giovedì a centocinquanta di venerdì. I migranti sembrano partire autonomamente alla ricerca di varchi. Un gruppo si è mosso alla volta di Milano per poi provare a passare il confine Svizzero. Altri starebbero tentando in questo ore di percorrere quelli che erano i passi transfrontalieri presenti nell’entroterra ligure, utilizzati fino agli Settanta. L’Europa dei nazionalismi sembrava cavalcare il tempo al contrario.

Se gruppi di uomini e donne avessero scelto per una soluzione così difficile, probabilmente dovrebbero raggiungere il «Passo della morte», che gli ex passeur di Ventimiglia definiscono così: «Un luogo pericolosissimo, tutto un burrone. Speriamo che nessuno stia facendo questo». Eppure qualcuno pare essersi mosso in questa direzione.

In questo inferno qualche raggio di speranza, però, erompe. Contro la retorica del migrante sporco, malato e invasore un folto gruppo di persone termina il suo pellegrinaggio laico alla tenda della Croce Rossa francese. Portano acqua, coperte, ombrelloni, scarpe, croissant, baguette, bagno schiuma e tutto ciò che serve per rendere meno doloroso il soggiorno in Costa Azzurra dei migranti che scappano dalle devastazioni dei loro paesi.

I «buoni», anzi i «buonisti» per utilizzare il termine più disprezzato dei tempi recenti, arrivano da tutta Italia con i loro borsoni di tela. Da Torino l’Assemblea che occupa la Cavallerizza Reale, un sito patrimonio Unesco messo in vendita dal Comune, ha portato un furgone di generi alimentari e coperte, e la prossima settimana un altro partirà. Idem da Milano, da Genova e dal Veneto.

Sotto la piccola tenda, il cibo e l’acqua sono disposti ordinatamente e appaiono sufficienti ma non abbondanti. Da quel punto si dipana lungo il marciapiede un serpentone di vestiti, scarpe, coperte e altro, tutto messo a disposizione per chi viene buttato fuori dai francesi. Ma sono i singoli cittadini quelli che appaiono i più convinti del loro gesto solitario. Un atto indispensabile per la giovane volontaria francese della Croce rossa che presidia il tesoro dei profughi: «Senza queste persone, che a casa loro riempiono i sacchi della spesa e portano qua di tutto, i migranti non ce la farebbero». E infatti il via vai di piccole utilitarie che si fermano e scaricano pacchi e sacchetti è costante, molti dalla Francia, alcuni dall’Italia. Ma, ogni dieci persone che si schierano dalla parte della civiltà, cento rimangono fermi a guardare lo spettacolo disumano dei migranti abbandonati sugli scogli.