Come sarà l’annata di Venezia 2015? Non di grandissima qualità, ma dal gusto interessante, a tratti sorprendente, inaspettato. Questo è il commento conclusivo del direttore Alberto Barbera che ha presentato il programma della Mostra nella tradizionale conferenza stampa. Fa lui steso il paragone con la degustazione dei vini e si trova di fronte un sapore difficile da descrivere. Le terre di coltura sono state battute in lungo e in largo, per anni si è andati sul sicuro nelle grandi botti pregiate del cinema statunitense o francese o dell’estremo oriente che non potevano mai mancare sulla tavola di un festival elegante. Con qualche variazione italiana come segno di buona ospitalità.

Quest’anno più forte si presenta l’epoca di transizione. «Nella labile geografia del cinema mondiale, dice Barbera, ci sono paesi che emergono, altri che vanno giù, altri di grande tradizione che non producono opere importanti. Ci viene in mente una frase caustica di Lino Micciché: «Le cinematografie sommerse è bene che rimangano tali». Ma in questo caso il bilancio di Barbera si riferisce al fatto che i selezionatori si sono trovati di fronte un modo di fare cinema spiazzante che non rispetta più i canoni ai quali siamo stati abituati, mentre il panorama degli autori di riferimento via via svanisce: «Come festival abbiamo cercato di proporre una forte identità, ci siamo mossi su un crinale molto sottile non facile da percorrere che cerca di attraversare la complessità del cinema contemporaneo. Siamo in una fase di assestamento a cui non sempre corrisponde una grandissima qualità».

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Si va dai grandi autori ai numerosi debutti, a registi sconosciuti di cinematografie finora non praticate. Tra i ventun film in concorso quattro sono i film Usa, non convenzionali, per lo più disturbanti (così sono stati definiti, sembra questa essere la parola chiave che caratterizza molte delle opere scelte), ed esperta di linguaggio del futuro è certamente la musicista e performance artist Laurie Anderson con Heart of a Dog (un film sulla perdita, del cane, della madre, del marito Lou Reed), Cary Kukunaga in Beasts of the No Nation (un bambino di un paese dell’africa occidentale costretto a prendere le armi), Anomalisa di Charlie Kaufman e Duke Johnson, animazione stop motion parecchio anomala su un uomo incapace di creare rapporti umani e Drake Doremus con Equals, fantascienza che si muove ai margini del cinema indipendente.

Tra i quattro film italiani in concorso assai atteso Marco Bellocchio, Sangue del mio sangue, che torna a Bobbio dove girò I pugni in tasca e dove tiene la sua scuola di cinema in estate, con un cast che ci fa ripercorrere buona parte della sua filmografia (Roberto Herlizka, il suo Moro, Pier Giorgio Bellocchio in teatro e al cinema, Filippo Timi il suo Mussolini, Toni Bertorelli in L’ora di religione…) come presenze immateriali evccate da un lontano passato, da una storia sepolta nelle prigioni antiche della città. Un lontano ricordo di La piscine di Jacque Deray c’è in A Bigger Splash di Luca Guadagnino che, dice, non aveva nessuna voglia di farne il remake che gli era stato proposto, ma con Tilda Swinton, Ralph Fiennes e Dakota Johnson lavora su un intreccio che lo attrae di più, una storia di rinuncia, rifiuto, violenza nei rapporti, ambientato a Pantelleria. Juliette Binoche è la protagonista di L’attesa, esordio di Piero Messina, Valeria Golino interprete per Giuseppe M. Gaudino in Per amor vostro.

Un altro film da sottolineare è Rabin The Last Day di Amos Gitai, sull’ultimo giorno di vita prima dell’attentato, un appuntamento sempre imperdibile, come quello con Alekssandr Sokurov, vincitore del Leone d’oro con Faust, quest’anno a Venezia con Francofonia che si preannuncia un altro dei suoi stupefacenti viaggi nella storia e nell’arte. E Jerzy Skolimovski in 11 minut ci mostra undici minuti della vita di alcune persone, un film presentato come diverso dai suoi precedenti, ma forse non troppo perché ci sembra di riconoscere il suo sguardo visto che proprio negli ultimi secondi il destino collega il destino di tutti questi personaggi. Ci sono poi i francesi L’hermine di Christian Vincent con Fabrice Luchini, Marguerite di Xavier Giannoli, dal Sudafrica The Endless River di Oliver Hermanus, dalla Turchia Abluka di Emin Alper, dall’Australia Looking for Grace di Sue Brooks, Behemoth, il documentario del videoartista cinese Zhao Liang, altre sorprese con Remember di Atom Egoyan. Un bel giro del mondo.

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Il latinoamerica quest’anno è molto ben rappresentato: in concorso un film dell’argentino Pablo Trapero che proprio a Venezia esordì (e vinse) nel ’99 alla Settimana della Critica con Mundo Grua, con Familia rodante nel 2004 e componente della giuria nel 2012: quest’anno con El Clan, racconta la storia della famiglia Puccio che negli anni 80 si dedicava a un vasto giro di estorsisoni e omicidi. In concorso anche il venezuelano Lorenzo Vigas con l’esordio Desde allá interpretato da Alberto Castro. «I film sudamericani sono tra i più interessanti, sorprendenti e innovatori che vedremo quest’anno a Venezia», promette Barbera e anche se manca il nuovo film di Guillermo De Toro perché la produzione ha messo il veto ai festival, si apre il programma dei 18 film «Orizzonti», uno dei preferiti dei frequentatori della Mostra: un Brasile come non si è ancora visto in Boi Neon di Gabriel Mascaro e Mate-me por favor di Anita Rocha da Silveira, il messicano Rodrigo Plà con Un monstruo de mil cabezas.

E naturalmente fuori concorso il grande maestro del cinema messicano Arturo Ripstein con La calle de la amargura, in cui esplora il mondo della lotta libera, una storia basata su un fatto di cronaca, l’assassinio dei lottatori professionisti La Parkita e Espectrito Jr. drogati da due donne in un hotel con una dose letale. Da notare in Orizzonti (altri due film italiani Ranato De Maria con Italian Gangster e Alberto Caviglia, già assistente di Ozpetek con Pecore in erba. In Orizzonti anche 16 corti, 20 classici di cui 18 restaurati e 16 film Fuori concorso cui parliamo più diffusamente in pagina. Paolo Baratta presidente della Mostra assicura che sono stati quasi portati a termine i lavori di ristrutturazione delle sale e la messa a punto tecnologica. In quanto al «buco» che ristagna di fronte al palazzo del cinema resterà lì finché il Comune non se ne farà carico (fare costruire dagli scenografi di Cinecicttà qualche finto reperto archeologico?). La novità di quest’anno è un’arena dedicata al pubblico non accreditato che potrà vedere film e incontrare autori ai giardini del Casino.