Liliana Cori ed Elisa Bustaffa sono due ricercatrici dell’Unità di ricerca epidemiologia ambientale dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche- (Ifc-Cnr) di Pisa, co-autrici dello studio sugli impatti sanitari causati dall’impianto a carbone di Vado Ligure, in provincia di Savona. L’impianto di produzione di energia elettrica gestito dalla Tirreno Power, è stato attivo dal 1970 al 2014, quando le autorità giudiziarie lo hanno posto sotto sequestro proprio perché pericoloso per la salute delle persone. «Nel gennaio 2015 abbiamo iniziato lo studio di coorte residenziale, su richiesta dell’Osservatorio Regionale Salute e ambiente della Regione Liguria all’Istituto Tumori di Genova e a Ifc-CNnr. Pensiamo che la spinta dei due Comuni di Vado Ligure e Quiliano, oltre che dei comitati locali come Uniti per la Salute, abbia avuto un ruolo significativo in questa scelta».
I due comuni, e anche gli altri 10 limitrofi coinvolti, hanno collaborato fattivamente allo studio, basato sulla certosina raccolta e analisi dei dati sanitari e ambientali relativi alle oltre 140 mila persone residenti nelle 12 municipalità presenti nell’area interessata dalle emissioni della centrale. Il tutto per un periodo di tempo che va dal 2001 al 2013.

Il principale dato aggregato è da far tremare le vene dei polsi: nelle aree a maggiore esposizione a inquinanti sono stati riscontrati eccessi di mortalità per tutte le cause superiori al 49%. In particolare si sono registrati incrementi dei decessi per malattie del sistema circolatorio (uomini +41%, donne +59%), dell’apparato respiratorio (uomini +90%, donne +62%), del sistema nervoso e degli organi di senso (uomini +34%, donne +38%) e per tumori del polmone tra gli uomini (+59%).
Il lavoro di ricerca è durato due anni. «Nel 2017 abbiamo consegnato i risultati preliminari dello studio alla regione Liguria, e nel febbraio 2018 un approfondimento richiesto dallo stesso Osservatorio regionale», ci spiegano le due ricercatrici. Dopo il sequestro della centrale, le indagini sono proseguite. Nel dicembre dello scorso anno, a Savona, ha avuto inizio il processo che vede alla sbarra 26 manager della Tirreno Power con l’accusa di disastro sanitario e ambientale colposo, e probabilmente anche i dati raccolti da Cnr e Istituto Tumori vengono presi in considerazione. La procura ha indagato su 427 morti definite «anomale» tra il 2000 e il 2007 per malattie respiratorie e cardiovascolari.

La rilevanza e l’importanza dei dati raccolti dal Cnr ha avuto una eco nazionale nelle ultime settimane, grazie alla pubblicazione dello studio sulla rivista Science of the Total Environment.

I numeri e le conclusioni del rapporto non sono piaciuti alla Tirreno Power, che ha parlato di «dati vecchi» e di «eventi avversi teorici». «Questa risposta dell’azienda ci ha dato fastidio, perché noi abbiamo preso in considerazione persone che si sono ammalate e altre che sono purtroppo decedute, quindi nello studio si faceva riferimento ad accadimenti drammaticamente reali, non a previsioni», ribadisce la Cori.

Risultati simili sono stati riscontrati dagli esperti del Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario del Lazio per quel che riguarda una delle grandi centrali a carbone italiane ancora in attività, quella di Civitavecchia, mentre per l’impianto di Brindisi è stato condotto uno studio che però non è ancora pubblico. Entrambi gli impianti sono gestiti dall’Enel. Per le ricercatrici del Cnr è indispensabile chiudere al più presto tutte le centrali italiane alimentate a carbone, quindi anche prima delle scadenza del 2025 paventata dal governo senza dimenticare quindi le altre sei più piccole (La Spezia, Brescia, Portoscuso e Fiumesanto in Sardegna, Fusina e Monfalcone nel Nord-Est) «perché in base a questi studi sappiamo quanto costerà in termini di vite umane e quanto peserà sul sistema sanitario nazionale continuare a bruciare carbone».

Le due ricercatrici auspicano quindi una significativa accelerazione nel processo di decarbonizzazione, che porti a investire su fonti rinnovabili su piccola scala e ben distribuite sui territori.

«A livello internazionale abbiamo la possibilità di intraprendere azioni di concerto per ridurre o eliminare i combustibili fossili per affrontare l’attuale emergenza climatica, mentre in Italia il nuovo governo ha fatto affermazioni che sembrano prefigurare uno scenario positivo e dispone di competenze adeguate per affrontare i problemi. Ora però deve agire concretamente».