Il 18 gennaio, quando gli elicotteri israeliani sganciarono missili contro un convoglio di automezzi nella Siria meridionale, non lontano da Quneitra, uccidendo 12 persone tra le quali sei alti ufficiali del movimentio sciita libanese Hezbollah e un importante generale iraniano dei Pasdaran, un giornalista israeliano molto noto, Yossi Melman, specializzato in intelligence, sollevò forti dubbi sull’opportunità di quell’attacco. «Hezbollah si vendicherà», avvertì Melman. Ieri è giunta quella vendetta, proprio lungo il confine tra Libano e Israele, smentendo i tanti, incluso chi scrive, che tendevano ad escludere una rappresaglia in tempi stretti e sulla frontiera. Intorno alle 11.30 ora locale, ieri i guerriglieri sciiti, all’altezza delle Fattorie di Sheba, vicino al villaggio di Ghajar, hanno sparato razzi anticarro centrando un veicolo pieno di militari israeliani: due i morti e sette i feriti. La rivendicazione è giunta poco dopo dalla “Brigata Martiri di Quneitra”, nata proprio per mettere in atto la vendetta di Hezbollah. Qualche ora prima l’aviazione israeliana aveva di nuovo colpito in Siria una postazione di artiglieria dell’esercito governativo, in ritorsione per i due razzi che martedì erano caduti nel Golan siriano sotto occupazione israeliana.

 

Immediata la reazione di Israele che ha martellato con l’artiglieria il Libano del sud, colpendo però anche le truppe di interposizione dell’Onu e uccidendo un militare spagnolo del contingente Unifil (attualmente a guida italiana). Il ministro degli esteri Lieberman ha fatto le condoglianze alla Spagna ma Madrid esige un’inchiesta «immediata, esaustiva e completa» affidata all’Onu sulla morte del casco blu, Soria Toledo, 34 anni. «Non ci tremerà la voce nell’esigere che ogni responsabilità venga indagata», ha avvertito il ministro José Manuel Garcia.

 

La vendetta di Hezbolah scatterà altrove, si diceva e scriveva fino a qualche giorno fa, per non dare a Israele un motivo per innescare una nuova offensiva devastante contro il Libano, come quella dell’estate del 2006. Pesava anche la considerazione dell’impegno di migliaia di uomini del movimento sciita in Siria, dove combattono dalla parte dell’esercito governativo contro i jihadisti dello Stato Islamico e del Fronte al Nusra (al Qaeda). E invece i leader del movimento sciita, dopo i aerei israeliani subiti negli ultimi anni senza reagire, ha voluto sfidare apertamente Israele, inviando un messaggio molto chiaro: la guerra non ci spaventa e farà molto male anche a Israele. Ieri, mentre a Beirut migliaia di sostenitori della resistenza sciita festeggiavano con fuochi d’artificio, scandendo slogan a sostegno del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il premier israeliano Netanyahu era riunito con il ministro della difesa Moshe Yaalon, il capo di stato maggiore Benny Gantz e il capo del servizio di sicurezza Yoram Cohen allo scopo di decidere se innescare o evitare un conflitto che potrebbe coinvolgere anche la Siria e l’Iran. Le dichiarazioni di Netanyahu non lasciavano ieri molto spazio alle interpretazioni. «I responsabili dell’attacco pagheranno un prezzo elevato. Da tempo l’Iran cerca, con l’aiuto degli Hezbollah, di creare sul Golan un fronte terroristico contro di noi. Il governo libanese e il regime di Bashar Assad hanno pure responsabilità per le conseguenze degli attacchi che partono dal loro territorio contro di noi», ha ammonito Netanyahu che in precedenza aveva detto «a quanti cercano di sfidarci al confine nord suggerisco di guardare a Gaza». Un riferimento evidente alle immense distruzioni e agli oltre 2 mila palestinesi uccisi dall’offensiva “Margine Protettivo” della scorsa estate. Da parte loro i libanesi ricordano ancora i bombardamenti isrealiani che quasi nove anni fa trasformarono in un ammasso di macerie large porzioni di Hart Harek e Bir al Abed, i quartieri meridionali di Beirut popolati da sciiti e roccaforte di Hezbollah, e non pochi villaggi del sud del Paese. Ora però gli arsenali del movimento sciita includono, a nove anni di distanza, missili e razzi più potenti e con una gittata che può coprire l’intero territorio israeliano. Scegliere la guerra per Netanyahu vorrebbe dire mettere in pericolo non centinaia di migliaia di abitanti della Galilea come nel 2006 ma milioni di israeliani, tutta la popolazione. E il primo ministro, impegnato nella campagna elettorale, sa che questo potrebbe travolgerlo.

 

Allo stesso tempo, proprio perchè è in campagna elettorale, Netanyahu forse deciderà di scatenare la nuova guerra contro il Libano per sottrarsi a un’accusa di debolezza che potrebbero lanciargli contro i suoi rivali dall’estrema destra e dal centro. Il superfalco Lieberman, che spinse con forza lo scorso luglio per attaccare Gaza, ha esortato ieri Israele a rispondere all’agguato sulla frontiera «con forza e in maniera sproporzionata, proprio come farebbero – a suo avviso – la Cina o gli Usa in circostanze simili». Da parte sua il leader laburista Isaac Herzog, sfidante principale di Netanyahu nel voto del prossimo marzo, ha affermato che «Nella lotta al terrorismo non ci sono compromessi, non c’è coalizione ne’ opposizione». Ieri sera si attendeva la reazione anche di Barack Obama, transitato per il Golfo qualche ora prima per rendere omaggio a re Abdallah dell’Arabia saudita morto la scorsa settimana. Il presidente Usa darà il via libera alla campagna militare israeliana contro il Libano come fece lo scorso luglio per quella contro Gaza?