L’euforia intorno ai vaccini e la campagna di comunicazione attivata dai governi alla fine del 2020, con l’annuncio che il loro avvento avrebbe segnato l’inizio della fine della pandemia, hanno destato nella comunità scientifica qualche perplessità, per le aspettative indotte. Certo, il fatto che due vaccini – Pfizer/Biontech e Moderna – siano stati scoperti e messi in produzione con una tempistica senza precedenti, 10 mesi invece dei consueti 10-12 anni, e con un’efficacia iniziale mozzafiato, oltre il 90%, è un vero miracolo della medicina. Ed è una gran bella notizia il fatto che altri vaccini siano in fase avanzata di studio clinico, in più parti del mondo. Una mobilitazione scientifica così focalizzata contro lo stesso virus non si era mai vista. Ma lo scenario resta denso di insidie, e non solo per le incognite sulla evoluzione del virus.

TANTO PER COMINCIARE, l’arrivo dei vaccini inaugura la fine dell’inizio della pandemia nel migliore dei casi. L’altalena di notizie sui ritardi nelle consegne dei vaccini proiettano il chiaroscuro di un brusco risveglio, il primo bagno di realtà dopo lo stordimento della propaganda natalizia. Sia chiaro: mettere in campo in pochi mesi una produzione su larga scala per contrastare a regime di emergenza una pandemia non è uno scherzo. Non è mai accaduto prima. Non deve sorprendere quindi se un terzo dei 27 Paesi europei hanno registrato forniture insufficienti dei prodotti e 6 governi (Svezia, Danimarca, Finlandia, Lituania, Latvia, Estonia) hanno scritto a Pzifer/Biontech per chiedere «stabilità e trasparenza nella tempestiva consegna dei vaccini». Tener testa alla domanda è una sfida che non contempla ambiguità da parte dell’industria, né tanto meno false promesse. I ritardi sulle tabelle di marcia concordate non solo impattano sulle pianificazioni vaccinali per la somministrazione della seconda dose, ma rischiano di minare l’efficacia complessiva del piano vaccinale. Il tiro alla fune tra governi e imprese rammenta brandelli di storia già vissuti venti anni fa con la pandemia dell’HIV/Aids. Non possiamo ripetere quella sceneggiatura sui vaccini pandemici.

ANCHE PERCHÉ, questa volta, il finanziamento pubblico ha agito da leva di una rotta scientifica senza precedenti. Insieme alle nuove tecnologie, i fondi dei governi hanno rivoluzionato la ricerca clinica, favorendone l’estrema accelerazione. Il recente rapporto della fondazione kENUP rivela che in 11 mesi di attività su SARS-CoV-2 il pubblico ha investito 93 miliardi di dollari, il 95% dei quali destinati ai vaccini – 86,5 miliardi – e il 5% ai farmaci e diagnostici. L’iniezione proviene dai paesi industrializzati: il 32% dagli Stati uniti (Operazione WARP Speed), il 24% dalla Commissione Europea, il 13% dal Giappone e dalla Corea del Sud. La fetta finanziaria più consistente è andata alle piccole e medie imprese e il 18% ai grandi produttori farmaceutici. Le biotech hanno avuto un ruolo determinante contro Covid19. Aziende sconosciute come l’americana Moderna o le tedesche CureVac e BionNThec, specializzate nella tecnologia dell’Rna messaggero, sono le protagoniste assolute di questa storia di innovazione, con esiti stratosferici sul mercato finanziario: a metà agosto, CureVac ha visto svettare i titoli del 249,4% in 24 ore, del 400% in due giorni. Per la felicità della Fondazione Bill & Melinda Gates, uno dei principali investitori.

NELLA FRENESIA della gara all’accaparramento, i governi occidentali hanno operato nel solco di un incomprensibile laissez faire nei confronti delle industrie, a cui pure erogavano montagne di denaro. Non hanno negoziato le limitazioni commerciali e le flessibilità di tempo e prezzo del regime pandemico. Non hanno posto clausole di trasparenza – gli accordi sono segreti – né hanno fissato ex ante le condizioni di accesso al vaccino secondo criteri di salute pubblica, con uno sguardo rivolto oltre i paesi occidentali. Il vaccino non esiste in isolamento: serve una adeguata strategia di vaccinazione, condizioni di adattamento ai diversi contesti. Chi e quando immunizzare, e in quale ordine di priorità (se la disponibilità del vaccino è limitata), sono decisioni da prendere sulla scorta di informazioni epidemiologiche e sulle proprietà del vaccino suscettibili di modifiche a seconda della evoluzione della malattia e della eventuale presenza di altri vaccini, in una dinamica e mai scontata analisi dei rischi e benefici. Eppure, con Covid19, questi obiettivi di salute pubblica rischiano di perdersi nella scomposta pratica degli accordi bilaterali – 44, secondo l’Oms, di cui 12 stipulati solo nel 2021 – con le aziende per avere dosi aggiuntive ad hoc.

COVID19 IMPONE un profondo ripensamento, una nuova cultura sanitaria in chiave europea. Ora che siamo in tempo di pandemia, occorre subito che la Commissione sostenga la deroga ai diritti di proprietà intellettuale, come previsto dal trattato costitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e come richiesto da India e Sudafrica: liberare la conoscenza scientifica prodotta con fondi pubblici e favorire il protagonismo di nuovi soggetti nella lotta a Covid19 è un’esigenza reale, per sconfiggere il virus. All’Europa inoltre serve predisporre quanto prima una ricerca e produzione pubblica di prodotti farmaceutici e medicali essenziali, per emanciparla dalla logica individualistica dei singoli stati membri nella gestione delle prossime pandemie, già all’orizzonte. Un’altra ricerca farmaceutica è possibile. Dopo Covid19, indispensabile.