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A Udine presente e futuro del jazz

A Udine presente e futuro del jazzLakecia Benjamin – foto di Angelo Salvin

Musica Per la trentatreesima edizione, il festival ritorna nel capoluogo friulano dopo l’autoesilio gradese con un programma ricchissimo che si è articolato in vari spazi

Pubblicato circa un anno faEdizione del 23 luglio 2023

Per la trentatreesima edizione, Udin & Jazz ritorna nel capoluogo friulano dopo l’autoesilio gradese con un programma ricchissimo che si è articolato negli spazi tradizionali del Festival come il Castello di Udine e la Corte di Palazzo Morpurgo e allargato in Piazza Libertà, Casa Cavazzini, Spazio 35. Jazz per tutti i gusti ed equilibrata proporzione tra eventi gratuiti e a pagamento. Di rilievo anche i tanti momenti di riflessione e incontro con musicisti, docenti, amministratori, critici, giornalisti. Da segnalare almeno quello che ha visto Marcello Lorrai, firma storica de il manifesto, ricordare l’intellettuale militante Amiri Baraka, ospite del Festival nel 2008, nel sessantesimo dalla pubblicazione del suo celebre saggio Il popolo del Blues. Programma ricco dicevamo e perciò nella impossibilità di dare conto di tutti i concerti proveremo a concentrarci su alcuni di essi.

PASOLINI definì il Friuli “paese di temporali e di primule” perciò chi frequenta questa parte d’Italia sa che gli eventi all’aperto sono sempre a rischio. Il tempo non ha fatto eccezione nemmeno quest’anno e così il previsto concerto di Stewart Copeland al Castello è stato dirottato al Teatro Giovanni da Udine. Grande attesa e tutto esaurito per la rilettura del repertorio dei Police con orchestra sinfonica. Sulla carta operazione di sicuro appeal ma a forte rischio artistico. Invece il concerto è stato una festa gioiosa grazie alla intelligente orchestrazione dei brani, alla scelta di proporre tre deliziose cantanti e soprattutto di mettere il primo piano la batteria del leader, vera spina dorsale del reggae-pop-rock dell’indimenticato trio inglese. Versioni stravolte come quella di Roxanne oppure più canoniche, tanta energia sul palco e brividi in platea. Alla fine tutti in piedi a ballare Every Little Thing She Does Magic.

Bella la performance di Amaro Freitas con il suo pianismo afrocentrico, ultrapercussivlo e antiretorico e di Lakecia Benjamin

NELLA CENTRALE Piazza Libertà, si è invece esibito il quintetto Eternal Love guidato dal sassofonista Roberto Ottaviano. Serata calda e vista magnifica con la Loggia del Lionello e la Torre dell’orologio a fare da quinte, fortune che possono capitare solo nel nostro Paese come ha giustamente sottolineato il musicista pugliese. Con lui un vero e proprio supergruppo del jazz contemporaneo: Alexander Hawkins al piano, Marco Colonna al clarinetto basso, Giovanni Maier al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria. Il repertorio è costituito da originali e pezzi pescati dalla produzione jazzistica più africanista e militante come Chairman Mao di Charlie Haden. Jazz limpido e comunicativo senza rinunciare alla esplorazione avventurosa e ad un linguaggio personale. Interplay intenso e rilassato. Una performance esemplare di come si possa fare un jazz che si rifà a contenuti profondi senza perdere la tenerezza e l’ironia. Un esempio? Gare Guillemans è un pezzo in stile New Orleans del pianista Misha Mengelberg, guru della avanguardia europea, un omaggio ironico e al tempo stesso serissimo al jazz delle origini nel quale Ottaviano si produce in un sorprendente exploit vocale che schiaccia l’occhiolino a Louis Armstrong.

PER CONCLUDERE e due scoperte/consacrazioni del Festival: il brasiliano Amaro Freitas con il suo pianismo afrocentrico, ultrapercussivlo e antiretorico e la sassofonista afroamericana Lakecia Benjamin, un uragano di potenza e gioia sonora. Lakecia rappa con veemenza in Amerikkan Skin, spreme da Amazing Grace tutti gli umori possibili e riesce a fare ballare il mantra A Love Supreme di John Coltrane: la vertigine del groove. Con questi giovani musicisti il jazz del futuro è in buone mani.

 

 

 

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