Andy Rocchelli è morto la notte del 24 maggio ad Andrivka, periferia di Sloviansk, ma al suo posto poteva esserci chiunque altro, quanto meno uno dei tanti altri giovani free-lance venuti nella cittadina assediata, in cerca non di gloria o di fortuna, ma di un’occasione per raccontare quanto accadeva e ritagliarsi il proprio spazio nel mondo dell’informazione.

Quella zona era pericolosa, probabilmente la più pericolosa di tutta la regione: l’unico luogo nel quale l’artiglieria ucraina spara ripetutamente ogni notte per dissuadere ogni possibile assalto dei separatisti filo-russi. Si tratta di un tratto di strada sterrata lungo meno di un chilometro che costeggia la fabbrica italiana di ceramiche Zeus fino a raggiungere un binario, ora morto, su cui giace un treno sventrato dai ripetuti colpi di mortaio delle settimane precedenti. Una zona pericolosa ma non inaccessibile: molti altri fotoreporter prima di Andy avevano sfidato la sorte avventurandosi nella terra di nessuno per cogliere con uno scatto della macchina fotografica l’immagine che raccontasse questa silenziosa guerra ucraina in tutta la sua terrificante desolazione. Avevano sfidato la sorte ed erano riusciti a tornare indietro, Andy purtroppo non ce l’ha fatta.

Eppure quella triste giornata era cominciata proprio come una delle tante e nessuno avrebbe mai potuto prevederne la drammatica conclusione. Andrei Mironov, fidato amico e guida del giovane italiano in quei pericolosi territori, era sceso a far colazione poco prima di lui e Andy dopo qualche minuto lo aveva seguito. Una ciotola di kasha fruttata, due uova all’occhio di bue e poi, come tutti allo Slaviansk Hotel, un lungo peregrinare tra un check-point filo-russo e l’altro a fare domande ed esaminare i danni causati dai bombardamenti notturni su taxi sgangherati guidati da autisti che per poche grivnie ti portano ovunque, ma che al primo cenno di problemi abbandonano di corsa la scena.

Un giorno tranquillo dunque, almeno in apparenza, perché, molto prima del solito, già alle quattro del pomeriggio l’esercito ucraino aveva aperto il fuoco sia a Simenovka sia ad Andrivka. E proprio in quest’ultima località Andy e Andrei avevano deciso di dirigersi insieme al francese William Roguelon per verificare la veridicità delle voci che da qualche tempo correvano in città e che parlavano di un imminente attacco di forze ucraino. Il resto è noto: i tre giornalisti si sono trovati inspiegabilmente in mezzo ad un violento fuoco di mortai proveniente dalle postazioni ucraine sul monte Karaciun ed Andy, ferito gravemente dalle schegge di un ordigno, è rimasto immobile nel fossato a lato della strada ad attendere che qualcuno andasse a salvarlo.

Nessuno avrebbe potuto: non i separatisti che mai avrebbero sacrificato i propri uomini per soccorrere uno straniero italiano; non gli ucraini che hanno continuato a bombardare la zona anche durante la notte; non l’Osce che incredibilmente non aveva alcun osservatore presente nella regione del Donbass; non l’ambasciata italiana che lontana a Kiev non è stata in grado di gestire la situazione e si è affidata impotente ai resoconti parziali provenienti dalla hall dello Slaviansk Hotel. E nemmeno i colleghi di Andy che nella hall di quello stesso hotel hanno vissuto momenti interminabili di ansia e paura con l’orecchio attaccato al telefono cellulare nella speranza di una buona notizia che non è mai arrivata.