La presunta locomotiva statunitense ha subito una battuta d’arresto nella crescita del Pil nel primo trimestre di quest’anno (-0.7%), registrando la terza contrazione dal 2009. La ripresa sembra in corso, ma la crisi non pare finita e i dati restano controversi.

Se un recupero è in corso si tratta indubbiamente di quello del segmento finanziario, ottenuto grazie a un intenso intervento monetario espansivo. Anche in questo caso si tratta di movimenti controversi, prodotti da un liberismo interventista, apparentemente un ossimoro. La ripresa, dunque, è governata dall’alto e, secondo la teoria dominante, a cascata dovrebbe far ripartire l’intera economia, ma ciò per ora non sta accadendo. In ogni caso non va sottovalutata l’attuale dinamica per comprenderne effetti e contraddizioni.

L’interventismo monetario ha consentito una ripresa dell’euforia finanziaria, facendo ripartire il sistema proprio da dove apparentemente era esploso. Ogni possibilità di cambiamento, anche semplicemente ipotizzata, è stata chiusa attraverso la ripresa della sfera finanziaria.

Lì si è interrotta ogni capacità di autoriforma del sistema. C’è stato un recupero politico del pensiero mainstream e, al netto dell’intervento delle autorità monetarie, è ripartita la consueta politica economica fondata sull’ipercompetizione, le privatizzazioni, il mercato totale. Le politiche monetarie sono state le uniche politiche messe in atto e hanno materialmente consentito di padroneggiare e indirizzare un cambiamento compatibile con il quadro preesistente.

È possibile registrare la portata di tali scelte da alcuni dettagli presenti perfino in un paese finanziariamente fragile come l’Italia. La relazione annuale di Bankitalia fornisce dati significativi sul 2014. Lo scorso anno, rispetto a quello precedente, vi è stato un raddoppio della quantità di risparmio gestito da intermediari (265 miliardi), facendo recuperare loro il calo registrato dall’esplosione della crisi. La quota di risparmio gestito per i cittadini italiani ha così raggiunto il 26%, aumentando dal 2008 di ben nove punti. Nuove energie per un motore in affanno. Al di là del riuscito raffreddamento della crisi dei debiti sovrani, le politiche espansive attuate in varia misura a livello sovranazionale hanno consentito di far tornare appetibili persino prodotti finanziari ritenuti più a rischio.

Se da un lato gli investimenti in titoli di Stato, seppur con tassi risibili e persino negativi, continuano a tenere al riparo da rischi i grandi capitali, dall’altro il progressivo recupero sul piano borsistico e l’immensa mole di denaro in circolazione hanno spinto verso una ricerca più spregiudicata di investimenti, persino per i privati.

L’euforia finanziaria così torna a trascinare con sé una parte crescente del piccolo risparmio. Al primo batter d’ali il meccanismo torna a esercitare un potere di attrazione anche tra le sue potenziali vittime.

La teoria economica sostiene che una parte di questa raccolta fondi dovrebbe anche ricadere sull’economia reale, con maggiori finanziamenti alle imprese, ma per ora su questo versante non vi sono grosse novità. Sempre Banca d’Italia sostiene che al primo trimestre 2015 la domanda resti immutata soprattutto per le imprese. Per un paese come l’Italia, ove la quasi totalità del finanziamento all’impresa passa per le banche è un significativo. Ma d’altra parte dove l’impresa utilizza strumenti diversificati, spesso più diretti, di finanziamento, a giovarsene è quasi unicamente la grande impresa.

Il problema, dunque, non è la frattura tra economia reale e finanziaria, quanto quella tra un modello fondato sulla finanziarizzazione di tutta l’economia e chi ne resta fuori.