A Tripoli gli ultimi scontri tra bande rivali, dicono i testimoni, sono stati i più violenti dai tempi della cosiddetta «rivoluzione» del 2011. Armati di lanciarazzi, granate, mitragliatrici pesanti, gli ex ribelli, integrati in parte nelle forze di «sicurezza», ma ai quali il governo vuole tagliare gli stipendi da gennaio – la cosa deve renderli piuttosto nervosi – si sono dati battaglia in pieno centro, seminando il panico e provocando almeno 2 morti e una trentina di feriti. Ingenti anche i danni, in una zona che ospita tra l’altro il ministero degli Esteri e la tv di stato.

Le autorità accusano la Brigata Nosoor di Misurata, che avrebbe attaccato la zona di Suq al-Juma per vendicare la morte di uno dei suoi capi, Nuri Friwan, ucciso in una sparatoria a inizio settimana. Ma in tutte le milizie (ne sono state censite circa 1700) serpeggiano rabbia e insoddisfazione.

Intanto oggi a Tripoli ci sarà il battesimo della piazza per il movimento «9 Novembre», che protesta contro l’attuale stato di caos e l’estensione di un mandato del Congresso Generale Nazionale libico (Gnc).

Il ministro degli Esteri italiano Emma Bonino sostiene che in Libia la situazione è «assolutamente fuori controllo», ma che volete, «non si può mandare l’esercito, la soluzione deve essere politica». Francia e Gb, in prima fila nell’intervento armato che ha rovesciato Gheddafi e innescato l’attuale situazione, rinnovano la loro «vicinanza al popolo libico». Qualcuno a Tripoli starà facendo gli scongiuri.