Da ieri la Libia ha due parlamenti: il primo filo-islamista a Tripoli, il secondo filo-golpisti a Tobruk. E due premier: il filo-Fratelli musulmani, Omar al-Hassi, e il filo-Haftar, Abdullah al-Thinni. Basterebbe questo a delineare la frammentazione che attraversa il paese. Ma ad esacerbare lo scontro è la guerra per procura tra milizie che continua sul campo. Questo conflitto parallelo vede impegnati, da una parte, l’Egitto dei generali e gli Emirati arabi uniti (insieme all’Arabia saudita) che appoggiano il golpista Khalifa Haftar, le sue milizie (primi fra tutti i Zintani), il suo premier, l’ex ministro della Difesa, Abdullah al-Thinni, e il suo parlamento a Tobruk (Camera dei rappresentanti libica).

Il Cairo ha riconosciuto la legittimità della Camera, nonostante il voto si sia svolto in fretta e furia e senza rispettare le procedure. Dall’altra, ci sono gli islamisti, asserragliati nel Congresso generale nazionale (Cng) di Tripoli, che sono riusciti dopo mesi a nominare il loro premier, Omar al-Hassi, e controllano i miliziani di Misurata, con l’aiuto anche militare del Qatar.

Il gioco è fatto. E sono bastati due raid aerei, sponsorizzati da Egitto ed Emirati arabi uniti (Uae), a esacerbare lo scontro. L’Egitto avrebbe fornito le basi per i raid, mentre gli Emirati avrebbero concesso piloti, aerei e il rifornimento in volo. «Non ci sono aerei militari egiziani impegnati in Libia e l’aviazione non ha partecipato ad un’azione militare nel paese», ha tuonato Sisi. Ma i miliziani islamisti, del cartello denominato «Operazione Alba», non si arrendono.

Hanno sferrato un attacco al premier in pectore al-Thinni, devastandone l’ufficio e dando alle fiamme la sua abitazione. Gli islamisti hanno lanciato poi un appello alle ambasciate occidentali a riaprire i battenti dopo l’evacuazione delle scorse settimane. I miliziani si sono detti lontani dalla galassia di organizzazioni radicali, unitesi sotto l’ombrello di Ansar al-Sharia, e attive in Libia. In realtà, i legami tra islamisti moderati e milizie radicali è quanto mai ambiguo.

Proprio lunedì gli islamisti radicali, Ansar al-Sharia, hanno chiamato i gruppi presenti in Libia ad unirsi sotto l’ombrello del movimento, inserito da Washington nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Nonostante gli Usa abbiano condannato i raid (di Egitto ed Emirati) dello scorso sabato, dicendosi «sorpresi», a schierarsi tacitamente con l’ex agente Cia Haftar, sono vari think tank statunitensi. Lunedì era arrivato il disco verde all’azione di Haftar anche dal Washington Institute for Near East Policy. In un lungo report sulla figura del militare, si legge che «sebbene la campagna di Haftar ponga rischi alla transizione democratica, permettere al governo di lasciare il paese a sé stesso sarebbe una minaccia ancor più grande».

Anche il nuovo inviato delle Nazioni unite in Libia, Bernardino Leon, sembra accordare il sostegno ad un «processo politico», avallando le elezioni dello scorso giugno. Così fanno pure Italia, Francia, Germania e Regno Unito che hanno condannato l’escalation degli scontri e delle violenze in tutta la Libia. I bombardamenti su Tripoli segnano una nuova pagina dello scontro tra autocrati arabi e movimenti islamisti che tentano di rovesciare i vecchi regimi.

Dopo il colpo di stato militare in Egitto, il nuovo governo, insieme ad Arabia saudita ed Emirati, ha lanciato una campagna nella regione (diplomatica, mediatica e militare, armando le milizie controllate) per il ritorno o il consolidamento dei generali.

Gli Emirati arabi, che hanno una delle aviazioni militari migliori del Medio oriente, non hanno né confermato né smentito la paternità negli attacchi sui cieli di Tripoli. Il ministro degli Esteri, Anwar Gargash ha considerato le accuse di aver perpetrato gli attacchi un «diversivo». Secondo molti diplomatici occidentali in Medio oriente, gli Emirati sono impegnati ancor più dell’Arabia saudita nella guerra agli islamisti. Durante le rivolte (2011-2012), Qatar ed Emirati hanno entrambi giocato un ruolo centrale in Libia favorendo i loro clienti nel paese. Già allora Uae sosteneva i miliziani di Zintan, mentre il Qatar si appoggiava a miliziani e leader tribali di Misurata. Era il prodromo dell’attuale scontro tra islamisti e generali, ma ancora di più era l’inizio di una guerra per procura tra Emirati arabi (ora con l’Egitto) e Qatar.