Un mese di ansia ma, alla fine, Zeno D’Agostino è di nuovo Presidente dell’Autorità portuale del mare Adriatico orientale. Il Tar del Lazio ha dichiarato «pienamente legittimo» l’atto ministeriale con cui era stato nominato definendo la decisione con cui l’Anac ne aveva sancito la decadenza «una interpretazione estensiva non consentita».

Il clima si era rasserenato già nei giorni scorsi quando in Commissione bilancio della Camera la maggioranza di Governo aveva votato un emendamento al decreto rilancio dal nome «Autorità di Sistema portuale del Mar Adriatico Orientale»: un provvedimento ad hoc, dunque, per togliere ogni dubbio sull’interpretazione della normativa così come aveva richiesto anche la stessa Autorità anticorruzione. Non ce n’è stato bisogno: mentre tutti attendevano che il Tar si pronunciasse sulla concessione della sospensiva, ieri mattina il tribunale amministrativo ha voluto risolvere il contenzioso senza bisogno di ulteriori attese.

L’entusiasmo è tanto, anche se la sensazione che ci sia un nemico acquattato nell’ombra probabilmente lascia qualche punta di amaro. La decisione dell’Anticorruzione e l’improvvisa defenestrazione di Zeno D’Agostino (a seguito di una segnalazione rimasta a tutt’oggi anonima) aveva colto tutti di sorpresa: era successo un qualcosa di inimmaginabile. Ma, evidentemente, le scelte fatte in porto in questi ultimi anni a qualcuno avevano dato fastidio. Prima di tutto la sicurezza del lavoro dopo che per anni era proprio sul costo del lavoro che ci si era accaniti con l’illusione di ottenere maggiore competitività. Lavoro sicuro, agenzia per il lavoro interna, estensione di garanzie e tutele.

Meno «grandi opere» ma utilizzo razionale di quello che c’è: nodi infrastrutturali, già presenti sul territorio, da strutturare e ottimizzare e, soprattutto, da coordinare unitariamente per far muovere le merci dalle navi ai treni. Risparmiare suolo, farsi carico dell’impatto ambientale, togliere camion dalle strade. Un sistema logistico attrattivo e regolamentato perché le concessioni possano diventare opportunità di investimento. Il pubblico che fissa paletti, il privato che investe: un colpo alla regola di privatizzare i profitti e socializzare gli oneri. Enti di ricerca e università coinvolti per immaginare scenari futuri. Una mano pubblica in controtendenza, dunque, con la consapevolezza che «il futuro del porto non è il porto» come ha sempre dichiarato Zeno D’Agostino.

Da stamattina si ricomincia con slancio: Zeno D’Agostino è tornato pienamente in sella e c’è una lunga fila di iniziative che devono diventare accordi da sottoscrivere e realizzare. In cinque anni di gestione del porto il numero di contratti e di accordi è già stato davvero importate e su questioni tutt’altro che marginali. L’ultimo in ordine di tempo: la sottoscrizione di un accordo di programma per rilanciare il comprensorio industriale dove sorgeva l’altoforno della Ferriera di proprietà Arvedi, spento nei mesi scorsi dopo 123 anni di attività e dopo lotte decennali contro l’intollerabile livello di inquinamento. Nascerà al suo posto un polo logistico a servizio del porto e dell’economia del territorio, l’area a caldo verrà smantellata e riconvertita, il nuovo terminal portuale e ferroviario potrà accogliere treni completi da 750 metri nonché uno snodo autostradale diretto sulla grande viabilità.

Bonifiche e nuovi insediamenti produttivi per modificare il territorio e la sua economia. Nella prossima primavera a Trieste ci saranno le elezioni comunali: in molti auspicano che la nuova amministrazione e il porto sappiano lavorare in piena sintonia.