Nel nostro Paese è probabilmente nota soprattutto per i suoi studi sull’antisemitismo, per quell’approccio innovativo all’argomento costruito a partire da un’inversione dello sguardo rivolto abitualmente al tema: da quello dell’antisemita, che aveva tra gli altri proposto Jean-Paul Sartre in un suo celebre testo, al modo in cui di quest’odio e dei pregiudizi che porta con sé si sono occupati i testi sacri, la tradizione rabbinica e le leggende ebraiche.

UN’ANALISI che la rabbina francese Delphine Horvilleur ha proposto in Riflessioni sulla questione antisemita, pubblicato lo scorso anno da Einaudi, testo che si poneva in antitesi al ripiegamento identitario così presente oggi in molte comunità della diaspora, ma che cercava al tempo stesso di offrire strumenti utili a contrastare l’inquietante ritorno di stereotipi e retoriche più o meno esplicitamente di carattere antisemita dentro la lunga stagione delle crisi. Partendo da un’osservazione ravvicinata del «caso francese», dove al tradizionale antisemitismo dell’estrema destra si sono andati aggiungendo crescenti e pericolosi segnali provenienti dalle banlieue come da frange dei movimenti sociali sorti di recente, su tutti i gilets jaunes, Horvilleur ha indicato proprio come un sinistro «segno dei tempi» il fatto che «sembra stia emergendo una sorta di lingua antisemita che circola per il mondo. E che è raccolta da persone che hanno progetti politici fra loro anche molto diversi ma che la parlano all’unisono, la fanno echeggiare».

Sul fondo, le costanti che hanno nutrito queste retoriche a vocazione omicida, alimentate via via giustapponendo e modificando solo in superficie alcuni degli ingredienti. Al punto che, come suggerisce Horvilleur, «l’ebreo è immancabilmente un po’ troppo sé stesso e un po’ troppo un altro. Ha la faccia tosta di volersi assimilare oppure di rivendicare una sovranità altrove. (…) È stato percepito come una minaccia al “sistema”, ma anche come la sua incarnazione. Gli è stato imputato di camuffarsi o di essere troppo appariscente; di mescolarsi al punto di non essere più chiaramente identificabile, quando non di difendere l’endogamia e starsene per conto suo».

MA L’INDAGINE intorno all’apparizione di un nuovo antisemitismo, per certi versi «globale», non è che parte del percorso intrapreso da tempo da Delphine Horvilleur. Tra le poche rabbine donne di Francia (erano solo tre ancora lo scorso anno) ha studiato negli Stati Uniti dove le classi sono aperte anche alle studentesse e dove è molto più comune trovare una yeshivà al femminile, Horvilleur fa parte del movimento ebraico liberale transalpino e dirige la rivista Revue de pensées juives Tenou’a, oltre ad essere una figura pubblica molto nota, è intervenuta a più riprese dallo colonne di Le Monde e Le Figaro, ma all’inizio dell’anno scorso anche Elle le dedicò la copertina per presentare una sua lunga intervista con queste parole: «Rabbina, intellettuale, femminista, Delphine Horvilleur potrà contribuire con le sue parole a rendere più serena quest’epoca?».

QUEL CHE È CERTO è che l’itinerario di Horvilleur, nata nel 1974 a Nancy in una famiglia originaria dei Carpazi, di cui solo alcuni membri sono sopravvissuti alla Shoah, si situa chiaramente non solo nel campo di una lettura moderna, progressista e plurale del fatto religioso, («A chi sostiene che la Scrittura è indiscutibile, vorrei ricordare che un testo è sacro se accettiamo che il suo messaggio non possa essere affidato al significato primario delle sue parole», ha spiegato in un suo intervento), ma in un contesto nel quale l’ebraismo incontra il femminismo e il pensiero di genere, attraversando il dibattito «laico» su sessualità, identità, corpi.

Dopo il testo pubblicato nel 2017 presso Giuntina, Come i rabbini fanno i bambini. Sessualità, trasmissione, identità nell’ebraismo, Horvilleur ha pubblicato recentemente per le edizioni della Comunità di Bose Qiqajon, Nudità e pudore (pp. 154, euro 16), un’opera che invita ad analizzare i tentativi di «velare» il corpo delle donne facendo appello a presunti dettami contenuti nelle Scritture, quando invece «nulla è più impudico che spogliare un testo dei significati che potrebbe ancora avere alla luce di nuovi contesti». Un invito, quello che la rabbina francese proporrà nell’ambito di Torino spiritualità – nell’incontro «Visibili. nudità, femminino e scritture», in programma online domenica alle ore 11, «a rivisitare la propria tradizione, indagandone le fenditure e ascoltandone le voci sovversive».