A ricordare che siamo in campagna elettorale i manifesti sparsi tra piazza castello e Porta Nuova, con Piero Fassino sorridente a guardarsi le spalle dalla sfidante a 5 Stelle, Chiara Appendino. E i banchetti per le firme contro la legge Fornero insieme agli striscioni che chiedono verità per Giulio Regeni. Chiaro che sotto voto nulla vada trascurato, e ci sta quindi anche un’edizione opulenta – la quinta – del jazz festival (22 aprile-1 maggio). Così Torino si mette in ghingheri: tourbillon di musicisti – 530 provenienti un po’ da tutto il mondo, 178 eventi appuntamenti in buona parte gratuiti, a coinvolgere l’intera città, dal centro alla periferia con maxi eventi, master class, workshop, proiezioni. Il tema quest’anno è la «mescolanza di linguaggi» – ovvero il jazz trova punti di contatto con altri forme di spettacolo.

O meglio – come spiega il direttore artistico Stefano Zenni – il filo conduttore vede il jazz contaminarsi con: «le arti mescolando il teatro, il cinema e gli happening di danza». Ecco quindi l’incontro fra un testo dello scrittore poeta e critico argentino Julio Cortázar, Il persecutore, il suo racconto breve più celebre scritto nel 1959 e dedicato al talento geniale di Charlie Parker, il quartetto del trombettista Francesco Cafiso e l’attore Vinicio Marchioni, in una produzione che il TJF ha mandato in scena in prima nazionale all’Auditorium Rai. Pubblicato nel 1959 nella raccolta Le armi segrete, si ispira liberamente agli aspetti più drammatici della vita di Charlie Parker, ribattezzato Johnny Carter, la cui vicenda è filtrata dalle parole del suo amico Bruno, critico musicale. Uno spettacolo dove i concetti di arte, morte, vita e follia, vengono scanditi dalla voce recitante dell’attore romano incalzati dal furore ritmico della band e dalle note, altissime e lancinanti, del sax dal giovane pupillo di Marsalis.

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Mescolanza di idee e di stili, il newyorchese Robert Glasper – diventato nei primi anni duemila uno dei pianisti più acclamati delle ultime generazioni jazz – se ne intende. Experiment – il titolo del set portato nella sala caldissima del Cap 10100 – si basa quasi completamente sul progetto più noto e celebrato, ovvero i due volumi di Black Radio, piccola rivoluzione del genere con la sua mescolanza di jazz, hip hop e soul. Con lui sul palco Benjamin Casey alla voce e al sax, il frontman dell’ensemble, uno strepitoso Derrick Hodge al basso e Mark Colemburg. Energia allo stato puro, ritmi incalzanti dove Glasper e il gruppo improvvisano, alzando la temperatura e abbassandola – quando serve – guidati dal sofisticato lirismo del leader che porta i Nirvana sul dance floor (Smells like a teen spirit con la voce di Casey filtrata al vocoder) a braccetto con Bill Withers (Lovely day).

 

Nel set anche un omaggio a Prince, un brano del recente lavoro di Kendrick Lamar, a cui Glasper ha partecipato, e persino una giosa – e irriverente- ripresa della hit di Drake, Hotline Bling.
L’inaugurazione «ufficiale» di TJF è stata però affidata a Roy Paci che con la sua Orchestra del fuoco ha riletto il repertorio della cantante di origine marocchina Hindi Zahra, lead vocal della serata. Composta da musicisti legati al jazz e all’improvvisazione, l’orchestra del trombettista siciliano supporta il canto sofisticato e speziato della Zahra evitando – e se accade è solo in rari passaggi – di coprire con l’intensità dei fiati la voce, che si misura su brani originali e standard come The Man I love.

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Accanto a produzioni più decisamente mainstream, il TJF ritaglia per gli appassionati anche lavori più specifici, come l’omaggio di Maria Pia De Vito a Joni Mitchell, artista alla quale la cantante napoletana si dedica da anni con passione (anche uno splendido album, So right, pubblicato nel 2006). Un repertorio rivisitato in quartetto con Fabio Gorlier al piano, Simone Bellavia al basso elettrico e Gaetano Fassano alla batteria. Il teatro Vittoria ha invece ospitato nel matineé di domenica, l’esibizione dell’ensemble di Cristiano Calcagnile, otto musicisti – tra cui Gabriele Evangelista, giovanissimo e già virtuoso del contrabbasso (ha suonato anche nel gruppo di Rava), su pagine dal repertorio di Don Cherry, tra gli artefici con Coleman e Coltrane della rivoluzione free. Novanta minuti cullati da arrembanti suite e visionari paesaggi sonori in continenti lontani, ripresi dal songbook di Cherry con efficacia dal batterista e dal suo ensemble, capaci di sintetizzare le mille curiosità e le inquietudini di un maestro del jazz.