Ogni pietra viene incisa e levigata. Ogni posa è un rito che Gunter Demnig, artista tedesco, compie inginocchiandosi e lucidando la targa d’ottone prima di installarla. È l’antitesi dell’industralizzazione della morte in stile Auschwitz.

La memoria non è un esercizio di stile è pratica di vita, ancor più in questa fase di ritorno in Italia di neofascismi e di revisionismi social. Ecco, perché l’iniziativa di Torino con la posa di nuove otto pietre d’inciampo, promossa dal Museo diffuso della Resistenza, avvenuta nei giorni scorsi, è importante: la pietra è un eccezionale marcatore del territorio con una doppia valenza di conservazione e restituzione alla collettività della memoria storica.

Il progetto «Stolpersteine», letteralmente pietre d’inciampo, è il primo monumento europeo realizzato dal basso (a sceglierle non sono le istituzioni ma singoli cittadini o associazioni) per ricordare le vittime della deportazione nazista e fascista. Demnig ha percorso le vie di Torino, da via Parma a corso Spezia, a una settimana dalla Giornata della Memoria. «Per la prima volta – spiega il Museo diffuso della Resistenza di Torino, promotore dell’iniziativa – una pietra è stata dedicata anche a un internato militare italiano, Emanuele Balbo Bertone di Breme». Militare di carriera fu catturato dai tedeschi il 19 settembre ’43 e deportato in Germania. Mantenne ferma la decisione di non aderire alla Rsi e, durante un trasferimento forzato di prigionieri da sottrarre all’avanzata sovietica, riuscì a scappare ma la sua fuga durò poco e venne presto ricatturato. Riconsegnato ai tedeschi, troppo debilitato, venne ucciso il 28 gennaio ’45 presso Schelkow in Polonia.

Una pietra d’inciampo è stata collocata anche davanti all’abitazione di Franco Gallina, deportato in Germania nel campo di Bitterfeld. Umberto Nizza, ingegnere ebreo, morì ad Auschwitz in data ignota. Moisè Adolfo Cremisi, ebreo, venne ucciso al momento del suo arrivo ad Auschwitz. Remo Obbermito si impegnò in prima persona fornendo falsi lasciapassare a persone ricercate per ragioni politiche o razziali. Per questo motivo, rientrato a Torino, nel 1943 venne arrestato e condotto alla caserma di via Asti, dove fu torturato e poi deportato: morì in prigionia a Zöschen. I coniugi Teodoro Sacerdote e Rosetta Fubini, ebrei, furono arrestati ad Alassio nell’aprile del 1944: il marito morì a Fossoli, la moglie ad Auschwitz. Giovanni Bini era un comunista in clandestinità, fu deportato a Mauthausen e morì in prigionia.

Con le nuove otto salgono a 93 le pietre installate nel capoluogo piemontese. Sono incastonate nel selciato davanti all’ultima abitazione in cui viveva libera la vittima. Oltre al Museo a promuovere l’iniziativa la Comunità ebraica, il Goethe Institut Turin e l’Aned con l’Istituto storico della Resistenza. In questa quarta edizione le pietre, in Europa – come ha ricordato lo stesso Demnig sono salite in 20 anni a 64mila esemplari – sono, in questi giorni, posate anche in diversi comuni del Piemonte tra cui Pinerolo, Alessandria e Ivrea. Prossima tappa per l’artista tedesco il Veneto.