È previsto per oggi alle 13 il voto dell’Europarlamento sulla risoluzione sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, sostenuta da S&D, Renew, Verdi e GUE.

In mattinata si voteranno singoli paragrafi come richiesto dai popolari e dalla destra (che ieri in aula citava la presunta protezione dei cristiani copti come punto a favore del presidente al-Sisi).

PERCHÉ L’UNANIMITÀ sulla risoluzione più avanzata mai votata dai parlamentari europei sull’Egitto non c’è. Stavolta non si tratta di semplice condanna degli abusi né solo di richiesta di giustizia per Giulio Regeni.

Stavolta, accanto ai due casi, quello del ricercatore italiano e quello di Patrick Zaki, studente egiziano detenuto senza processo dal 7 febbraio scorso, c’è molto di più: la richiesta alle istituzioni europee di introdurre sanzioni mirate verso i responsabili di abusi e di sospendere la vendita di armi all’Egitto.

La richiesta dei popolari di votare per paragrafi, ci spiegano da S&D, serve a separare «gli elementi meno conflittuali, come la liberazione di Zaki e il caso Regeni, dalla vendita di armi e le sanzioni».

Ma c’è ottimismo: la risoluzione sarà sostenuta dal voto di Renew (nonostante la presenza di macroniani), socialisti, verdi, Gue, 5stelle e alcuni popolari.

«SI RIBADISCE una posizione che l’Europarlamento ha già appreso a settembre nel rapporto sull’esportazione di armi. E va ricordato che già nel 2013 i ministri degli esteri avevano deciso di non vendere più armi all’Egitto, una decisione disattesa da tutti, comprese Italia e Francia».

Oltre alle armi, prerogativa della Commissione che è ora chiamata a rinegoziare l’accordo di partenariato con Il Cairo, in scadenza questo mese, ci sono le sanzioni: spetta al Consiglio decidere di applicare il neonato strumento europeo, il Global Human Rights sanction regime.

LA RISOLUZIONE parte da un fatto noto in tutta Europa, l’arresto a metà novembre di tre membri dell’ong egiziana Eipr, rilasciati (sebbene siano ancora indagati e i loro conti congelati) poco prima del viaggio di al-Sisi a Parigi, un atto distensivo che non cambia affatto la natura della regime.

Ieri a ricordarlo è stato un rapporto di Human Rights Watch sul carcere di Tora (dov’è detenuto Patrick Zaki) e il suo complesso di massima sicurezza Scorpion, il più temibile dell’intero paese, destinato ai prigionieri politici: a metà novembre, ha rivelato una fonte portando in dote anche foto e video, i servizi segreti egiziani hanno introdotto nuove misure che peggiorano ulteriormente la prigionia già insopportabile di 700-800 detenuti.

DALLE CELLE sono stati rimossi i sistemi di aerazione e l’elettricità. Per impedire le comunicazioni tra detenuti è stata chiusa anche la minuscola fessura che si trova sulle porte di metallo. La zanzariera posta sulla sola finestra delle celle, che dà su un corridoio interno, è stata sostituita con sbarre di metallo.

Per il resto, è tutto come prima: tre-quattro detenuti in una cella di pochi metri quadrati compreso il bagno, una sola coperta, una saponetta ogni cinque mesi, muri ammuffiti dall’umidità, acqua che gocciola dal soffitto, freddo, torture e isolamento lungo mesi, a volte anni.

DAL 2015, secondo Hrw, dentro Scorpion sono morti almeno 14 prigionieri, di cui cinque di mancate cure. Amnesty ha documentato una morte per torture nel 2019. E l’Eipr nel mirino del regime egiziano documenta da anni l’impossibilità per i detenuti di ricevere vestiti e coperte dalle famiglie.