Le auto con i vetri oscurati si allontanano velocemente, scortate dalla polizia, dalla struttura di viale Giorgio Morandi, sotto la pioggerellina fitta che bagna i vialoni desolati di Tor Sapienza e le numerose prostitute che fin dal primo pomeriggio li animano. Sembra un trasferimento di detenuti ma a lasciare il quartiere dove vivevano e andavano a scuola, chi da qualche mese chi da qualche anno, sono ragazzini tra i 15 e i 18 anni, minori non accompagnati provenienti perlopiù dall’Egitto o dal Bangladesh.

Dopo tre giorni di proteste da parte di alcuni abitanti del quartiere, con scontri anche violenti con la polizia, ieri il Comune di Roma ha capitolato e ha deciso di trasferire ­ «per loro salvaguardia» ­ in altre case famiglia della città e del Lazio i 36 minori che vivevano nel centro di accoglienza per richiedenti asilo e per precauzione anche gli altri 10 giovani immigrati residenti in un appartamento protetto collegato alla struttura. Nel centro che potrebbe ospitare fino a 200 persone, di proprietà di una banca milanese e gestita dalla onlus romana “Un sorriso”, rimangono ora solo 35 adulti, asylanten e rifugiati politici fuggiti dall’Afghanistan, dal Pakistan e dal Gambia.

Ma l’assessorato alle Politiche sociali in serata fa sapere che a breve verranno trasferiti tutti gli ospiti perché, è la giustificazione ufficiale, «è stato gravemente danneggiato e al momento in molti suoi spazi è inagibile». Non era mai successo prima e tutta la faccenda rischia di diventare un grande spot per la giustizia-fai-da-te. Ma non finirà così, promette il vicesindaco Luigi Nieri: «Verranno ripristinate le condizioni di agibilità del centro – dice – per permettere alla struttura di continuare a funzionare regolarmente. Deve essere ben chiaro a tutti che la Capitale d’Italia rifiuta in maniera netta ogni forma di violenza, razzismo e xenofobia».

«Viviamo segregati da giorni, abbiamo le porte di emergenza chiuse, barricati come fossimo in guerra, ci tirano le bombe carta, l’altra notte hanno infilato una molotov nel portone, ci stavano bruciando da sotto», racconta Gabriella Errico, supervisore dei servizi di accoglienza della onlus, esausta dopo le tante lacrime versate al momento del saluto tra gli operatori che gestiscono il centro e i ragazzi in partenza. Ieri mattina l’ultimo «agguato», come lo definisce Errico che riferisce di un ragazzo del centro che si sarebbe visto sbarrare le porte di un bar, nelle vicinanze. «No, tu qui non puoi entrare», gli hanno detto. «Poco dopo però un gruppo di donne ci ha portato dei caffè – prosegue la responsabile accoglienza – Sembrava un gesto distensivo ma invece dopo di loro sono arrivati alcuni uomini che hanno subito alzato le mani, calci e spintoni contro di me e contro gli immigrati».

Insomma il bubbone è scoppiato e placare le tensioni non è cosa facile.

Ma per capire cosa sta succedendo in questa come in molte altre periferie romane, e perché quei ragazzini siano diventati il bersaglio di tanta violenza, il capro espiatorio di enormi frustrazioni, basterebbe in realtà guardare solo l’alveare che sorge di fronte alle finestre del centro per rifugiati, un moderno rudere dell’Ater che cade a pezzi anche se forse ha gli stessi anni di quei giovani dallo sguardo impaurito e amareggiato. Case popolari con «affitti che vanno dai 450 agli 800 euro mensili ­ raccontano gli abitanti scesi a godersi lo spettacolo ­ e dove solo ora, dopo otto giorni, fatalità, è ricomparsa la luce in ogni scala e ci hanno portato pure dei bidoni per la spazzatura nuovi di zecca». Ne raccontano di tutti i colori: parenti sulla sedia a rotelle sequestrati in casa perché gli ascensori non funzionano, figli e nipoti che frequentano scuole dove nei cortili spuntano solo preservativi e siringhe, donne impaurite per l’illuminazione stradale a singhiozzo, spazzatura onnipresente, roghi a non finire nei campi rom, poliziotti merce rara e abbondanza invece di prostitute e trans. Ma è storia comune, appena si mette il naso fuori dalle Ztl.
E così quei ragazzi immigrati ­ difficili, naturalmente ­ e quel centro che li ospita «mentre noi qua non riusciamo ad arrivare a fine mese», sono diventati un simbolo, da abbattere. Perciò non ci voleva Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia-An, che arriva nel tardo pomeriggio a prendersi gli applausi e inizia a scaldare i motori per la sua candidatura a sindaco, per capire che «quando aggiungi degrado e difficoltà ad altro degrado e altra difficoltà rischi di creare delle situazioni di insostenibilità». Nelle prossime ore sarà il turno di Mario Borghezio e poi nei prossimi giorni arriverà anche il segretario della Lega, Matteo Salvini, ma per loro non tira una bell’aria. «A quei due gli menamo, prima eravamo tutti ladroni e mo’ vengono a fare passerella?», più che una minaccia è ormai il refrain.

Una pagina nera che però non colpisce solo i rifugiati. «E’ una sconfitta per tutti noi – ammette Roberto Torre, vicepresidente del comitato di quartiere Tor Sapienza ­ Per colpa dei politici assenti pagano sempre i deboli. In questo caso i cittadini come esseri umani ci stanno rimettendo la loro dignità, e non faccio distinzione, sono sia gli immigrati che gli italiani a pagare».