Il disagio delle periferie romane è cosa purtroppo reale – scrivo questa mia testimonianza abitando a Tor Sapienza, proprio a Viale Giorgio Morandi, accanto al centro di accoglienza. Le responsabilità del degrado pesano sui governi cittadini che si sono succeduti almeno nell’ultimo ventennio e oltre e sono purtroppo il frutto amaro di scellerate politiche urbanistiche espansive e speculative sulla città; dell’abbandono dei presidi democratici nei quartieri popolari; della mancanza di una politica dell’accoglienza che responsabilizzi e integri nel tessuto sociale e urbano i nuovi venuti; della crisi e del disagio sociale che produce disoccupati eterni, devianza sociale e microcriminalità diffusa .

Il cemento non è più la giustizia sociale

Il cemento che tiene unita le comunità – ne sono testimone ogni giorno a Tor Sapienza – non è più fondato sui sentimenti e sulle pratiche della solidarietà e della giustizia sociale ma su quelli dell’invidia e del rancore non contro i più ricchi ma contro gli «ultimi», siano essi «zingari», «neri», o immigrati, perché portatori di degrado, di sporcizia, di miseria e di insicurezze: nonché privilegiati agli occhi dei più perché sembrano non sottostare alle regole e godrebbero di privilegi e diritti a loro negati, perché «rubano e non vanno in galera», perché godrebbero di una assistenza che a loro viene negata (v. la denuncia del vitto e dell’alloggio per i profughi), ecc.
In buona sostanza il conflitto etnico ha preso il posto del conflitto per la giustizia sociale e per la solidarietà tra poveri ed emarginati. La rabbia popolare non viene veicolata contro la scandalosa ricchezza che si concentra nelle mani e nelle tasche del 10% più ricco che si mangia la metà della ricchezza nazionale prodotta dal lavoro per un misero salario di lavoratori e lavoratrici e di tanti precari. No. La rabbia si disperde nei territori periferici per concentrarsi verso i più sfigati e non verso i privilegi dei più ricchi e della cattiva politica che lo consente. Se c’è una crisi della politica, questa diventa percepibile proprio in questa contraddizione, nel mancato incontro e nel divorzio tra lotta alla povertà e lotta per la giustizia sociale contri gli ingiustificati privilegi dei ricchi.

Il «laboratorio» dei campi nomadi

Questo quadro è visibile nelle manifestazioni e nelle proteste contro il centro di accoglienza per i rifugiati di Viale Morandi a Tor Sapienza. La causa del malessere e della rabbia popolare si è incarnata nella presenza fisica in quel centro di trenta spauriti ragazzi minorenni africani scampati alle guerre nei loro paesi d’origine e richiedenti asilo nel nostro paese. Che non saranno dei santi – del resto, come nessuno di noi – ma ai quali non si possono imputare tutte le nefandezze e le cause delle paure di cui sono accusati.
È certamente colpevole di questo degrado civile e materiale la mancanza di una politica dell’accoglienza e di controllo del territorio da parte delle istituzioni, che non siano i «Campi nomadi», vera istituzione-laboratorio e fabbrica di razzismo.

È certamente intollerabile consentire che centinaia o migliaia di senza tetto possano vivere nella sporcizia e nel degrado in campi arrangiati all’aperto senza controlli e senza intervenire con soluzioni più dignitose e più umane coinvolgendo le istituzioni territoriali e le comunità dei cittadini nelle politiche dell’accoglienza. No. La conseguenza è la mancanza di governo del territorio dove tutti sono lasciati soli con la propria rabbia e le proprie paure o con la necessità di sopravvivere, mentre il degrado materiale e civile si accumula fini ad esplodere nella violenza più cieca.

Su questo disagio agisce la destra, qui impersonata dagli attivisti di Casapound e dalla Lega di Salvini e Borghezio, che istigano e veicolano questa rabbia e questa violenza contro rom, neri e finanche contro introvabili comunisti che favorirebbero con il loro lassismo l’invasione dell’Italia da parte di «milioni di immigrati».

Roma e le sue periferie rischiano di diventare così terreno di sperimentazione e di organizzazione di una violenza popolare che assume i modelli della guerra e della pulizia etnica come soluzione finale per liberare il territorio da presenze sgradite.
Purtroppo a Tor Sapienza è andata in scena una prova di rivolta popolare che si può propagare nelle altre periferie romane. Sarebbe la guerra di tutti contro tutti. Un vero disastro. Questo esito può diventare inevitabile se non c’è un’altra risposta e un’altra proposta che organizzi il disagio popolare contro i suoi veri avversari e i suoi veri nemici.

Le 700 famiglie degli edifici Ater

Purtroppo i presidi democratici nelle città e nelle periferie romane sono ormai praticamente inesistenti. Qui c’è il deserto. Il territorio e le periferie sono controllate in gran parte dalla criminalità e la cultura popolare prevalente è razzista e/o fascistoide di destra, anche quando votano Marino o Zingaretti. Frutto questo dell’abbandono istituzionale e della desertificazione politica e culturale del territorio.
La situazione di degrado degli edifici dell’Ater in viale Morandi, dove risiede il nucleo più forte e numeroso della protesta, si conosce da anni. Quasi 700 famiglie vivono in abitazioni insicure e anche fatiscenti per l’assenza di ogni intervento di manutenzione e cura da parte dell’Ater. Gli edifici interni che avrebbero dovuto svolgere la funzione socializzante dei suoi abitanti con servizi pubblici, negozi, ecc.., sono stati abbandonati da anni dalle istituzioni e versano nell’ abbandono più assoluto. Recentemente sono stati occupati da una comunità di rumeni che vi sono insediati.

Nonostante tante sollecitazioni e interventi nessuno finora si è mosso in maniera adeguata e convincente. Se si aggiunge lo stato di emarginazione sociale e disoccupazione cronica in cui versano in particolare i giovani che ci vivono, è pronto il mix micidiale di potenziale rivolta che è esploso in questi giorni con l’aiuto e la supervisione dei militanti di Casapound, alla cui ideologia è pericolosamente permeabile la componente più giovane e combattiva dei suoi residenti. Il vero obiettivo della rivolta dei cittadini – che sono altra cosa dai mestatori dell’estrema destra – dovrebbe essere indirizzata contro lo Stato, il governo e le politiche pubbliche che trascurano le condizioni di vita dei più poveri ed emarginati. Quindi la rabbia contro i rifugiati, veri e propri capri-espiatori della situazione, dovrebbe in realtà avere ben altri bersagli.