«Lo dico sempre a tutti i giapponesi che incontro: ‘se foste musulmani sareste il migliore popolo di tutti’». Hassan (pseudonimo), 33 anni, viene dall’Afghanistan.

Da un paio d’anni vive e studia nel sud del Giappone, in Kyushu. Ha ottenuto una borsa di studio del governo di Tokyo finanziata dalla cooperazione allo sviluppo. Finito il master in politica comparata dovrà tornare in patria.
Sorride mentre parla, ma soppesa ogni parola con attenzione e cautela. Pensa soprattutto ai diversi livelli di interazione sociale tra individui: con gli amici si parla in un certo modo, con gli sconosciuti in un altro; con i più giovani si usano certi termini con i più anziani no.

È colpito soprattutto dal rispetto che i giapponesi dimostrano di avere l’uno dell’altro. «Non ho nessuna intenzione di convertirli alla mia religione. Ciò che voglio dire è che hanno quasi tutte le caratteristiche che una buona società deve avere. Questo li rende dei buoni esseri umani. Non dico perfetti, ma sicuramente buoni».

Nonostante le difficoltà ad ambientarsi e di comunicazione, Hassan pare avere trovato la sua dimensione nel paese arcipelago. Sono circa 70mila i musulmani, la maggior parte stranieri, che vivono oggi in Giappone, anche se non ci sono dati precisi. A differenza degli altri paesi in cui ha vissuto negli ultimi anni, in Giappone si sente finalmente libero di professare il proprio credo.«Mi è capitato diverse volte di dover pregare mentre ero fuori casa o lontano dall’università. Una volta ho pregato in un centro commerciale. C’erano i clienti, c’erano le telecamere di sicurezza e lo staff dei negozi. Ma nessuno mi ha impedito di pregare o mi ha rimproverato perché lo stavo facendo».

L’Islam è infatti una realtà conosciuta in Giappone già dalla fine del XIX secolo. Ma oggi grazie ai mass media, le informazioni sull’Islam arrivano più facilmente e ad un pubblico più vasto. Così, negli ultimi due decenni, il Giappone si è progressivamente aperto all’Islam.

Tanto che oggi è considerato tra i paesi economicamente avanzati più tolleranti nei confronti di questa religione. Negli anni ’90 il numero di musulmani aumenta. Sono soprattutto studenti e lavoratori, anche illegali, a entrare nel paese arcipelago. Sono principalmente indonesiani, bangladesi e pakistani; ma anche iraniani, turchi ed egiziani. È in questo periodo che la comunità islamica giapponese mette radici. Alla fine degli anni ’90 aprono i battenti proprio il Masjid di Otsuka e la moschea di Nagoya, uno dei primi luoghi di culto per i musulmani ad aprire in Giappone a metà degli anni ’30 rimasta distrutta durante la seconda guerra mondiale.

Nel 2000 riapre la Tokyo Camii, una delle moschee più belle in Asia orientale, originariamente costruita da un gruppo di esuli turchi scappati dalla Russia. Ed è proprio nel decennio successivo che il numero di residenti di fede islamica aumenta ancora. Qualche imprenditore, a quel punto, intuisce l’opportunità di business.

Oggi, ad esempio, in Giappone è in corso un boom del cibo halal, servito dalle mense universitarie agli aerei. Sono sempre di più, poi, le agenzie di viaggi che offrono pacchetti per lo hajj – il pellegrinaggio a La Mecca obbligatorio per i fedeli, finché sono in vita – e l’umrah – il pellegrinaggio volontario in qualunque momento dell’anno. Anche il governo sta facendo la sua parte: dal 2013, il governo organizza un iftar – il banchetto di fine Ramadan – con i corpi diplomatici delle ambasciate dei paesi islamici per sottolineare l’importanza della convivenza pacifica e della tolleranza.

«È diventato più facile vivere qui», spiegava al portale online Siddiq Akhil presidente del Centro culturale islamico Masjid Otsuka di Tokyo. «Quando sono arrivato io, a inizio degli anni ’80 non c’erano moschee, né cibo halal (il cibo «permesso» in arabo, ndr). Ero costretto ad andare contro i precetti religiosi e andare nei ristoranti a menù fisso dove servivano pesce e verdure!».

La morte di Kenji Goto e Haruna Yukawa, due cittadini giapponesi rapiti in Siria dal gruppo dello Stato islamico a febbraio del 2015, e l’uccisione di alcuni contrattisti della cooperazione internazionale in Bangladesh a luglio scorso, hanno stravolto gli equilibri.

Le autorità hanno deciso di stringere i controlli: secondo quanto riportato da Al Jazeera a giugno di quest’anno la corte suprema di Tokyo ha dato il via a un incremento della sorveglianza sui musulmani residenti in Giappone, già oggetto di indagini e intercettazioni.