La questione nucleare iraniana non finisce qui. Sembra quasi che i negoziatori abbiano scritto un compito in classe ma abbiano paura di consegnarlo, quasi come scolaretti in là con gli anni, perché la fine dell’isolamento dell’Iran provocherebbe effetti a catena così importanti da far sobbalzare sulle sedie le cancellerie di mezzo mondo.

E un poco di fastidio a Israele, Arabia Saudita, Repubblicani negli Stati uniti e pasdaran iraniani questa intesa la darebbe di sicuro. Ecco i due blocchi: Russia, Cina e Germania che premono per la fine delle trattative e l’accordo con l’ex stato canaglia, da una parte, e Francia, Gran Bretagna e Stati uniti che frenano gli entusiasmi, dall’altra.

E così il ministro degli esteri tedesco Franz Steinmeier ha assicurato che i negoziati continuano a oltranza ancora per un giorno finché non ci sarà l’intesa. Per i russi è tutto pronto. «Si può dire con certezza relativa che c’è l’accordo di principio», ha assicurato ieri il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov.

Per Mosca l’accordo c’è ed è molto chiaro anche perché sarebbe vantaggiosissimo per gli interessi russi che già sfruttano ampiamente l’isolamento di Tehran per fare affari miliardari e trasferire in Iran tecnologia di bassa lega. Sulla stessa onda è la Cina che continua a premere per un’intesa. Il ministro degli Esteri Wang Yi ha ammesso che altrimenti «tutti gli sforzi fatti fin qui sarebbero vanificati».

Ma ancora una volta a frenare gli entusiasmi sono Parigi e Londra con un pizzico di timore a stelle e strisce (a Washington risuonano ancora le parole escatologiche di Netanyahu al Congresso). Se Parigi aveva avvertito che non avrebbe accettato un accordo che in parole povere non metta in ginocchio le aspirazioni nucleari iraniane, ci ha pensato la Gran Bretagna ad essere più diplomatica ma sempre cinica e caustica, come sempre.

«Abbiamo un accordo generale ma ci sono molti nodi da sciogliere», ha dichiarato placidamente, dopo anni di colloqui, il ministro degli Esteri inglese Philip Hammond. «Alcuni punti sono stati chiariti nei particolari ma c’è ancora molto lavoro da fare», è arrivato a dire chiarendo che oltre manica di dare il disco verde al programma nucleare iraniano non se ne parla proprio.

Dove andranno a finire le centrifughe iraniane e come si procederà a chiudere la pagina dell’embargo? Questi sono i due temi che sembrano irrisolvibili. Che ci sia un accordo politico in questa fase non serve a molto (c’è già dal 2013) perché la cosa principale è la soluzione delle questioni tecniche che dia finalmente il via alla fine delle sanzioni. La vera scadenza dei colloqui è fissata per il 30 giugno, come stabilito nei round negoziali di Vienna dello scorso anno ma tutti i negoziatori vorrebbero che venisse definita un’intesa generale, primo step della soluzione finale della decennale controversia con l’Iran.

A quel punto dovrà essere tutto pronto altrimenti si tornerà al muro contro muro, i negoziatori iraniani saranno fortemente indeboliti e forse non ci saranno né il presidente Usa Barack Obama né la guida suprema Ali Khamenei a manovrare dall’esterno le fila dei negoziati. In altre parole, se non si arriva presto ad un’intesa completa gli oppositori negli Stati uniti e i pasdran si rafforzeranno a tal punto da rendere impossibile ogni passo avanti nella fine dell’isolamento di Tehran in Medio oriente.

Per questo, il ministro degli Esteri iraniano ha assicurato che «ci sono stati grandi passi avanti» a Losanna. Javad Zarif ha ricordato che esistono controversie non risolte e che avrebbe discusso di questo in un bilaterale con il Segretario di Stato Usa, John Kerry che ha assicurato che il negoziato non andrà avanti all’infinito. «Insistiamo sul fatto che tutte le sanzioni economiche, finanziarie e relative al petrolio devono essere cancellate già nel primo passo dell’accordo», ha incalzato senza mezzi termini il mediatore iraniano, Abbas Araqchi. A questo punto, gran parte dei negoziatori hanno lasciato Losanna dove da tre giorni si discute di nucleare. Ma si spera che possano fare tutti ritorno in Svizzera nel caso venisse deciso di dare finalmente in pasto alla stampa una prima generica dichiarazione di intenti.