Al dente, si dice. E niente di diverso è concesso a una buona forchetta. È l’abc, un privilegio una volta relegato al sud, fortunatamente poi esportato anche al nord. E non solo. In America, a New York certamente. Perché è nella Grande Mela che vive e lavora Fabio Parasecoli, ex giornalista del Gambero Rosso, dove fu anche insegnante ai master, oggi professore associato e direttore delle iniziative di Food Studies della New School University. Al Dente. Storia del cibo in Italia (edito da Bus, euro 24) è la sua ultima fatica letteraria. Nato per una casa editrice britannica, la Reaktion Books, sull’onda di una serie lanciata sulle varie cucine nazionali, ha rappresentato l’occasione per riorganizzare le idee e il materiale che già era in suo possesso riguardo l’argomento.

«Ho colto l’opportunità – ha spiegato – per aggiornarmi sulle ricerche già pubblicate e tornare, io stesso, a leggere testi altri. A partire dall’epoca greca per arrivare a quella contemporanea. M’interessava soffermarmi su quei processi sociopolitici che hanno portato al riconoscimento di ingredienti, piatti e pratiche di cucina come italiane. L’Italia è un costrutto politico, economico e culturale piuttosto recente». Negli Usa, il libro è stato adottato in diverse università. Quando però la LEG di Gorizia si è interessata per la traduzione, il primo a stupirsene è stato proprio l’autore: «Nel libro ci sono informazioni che sembrerebbero scontate. Siamo convinti di conoscere tutto del nostro cibo, specialmente ora con la presenza massiccia di cucina e gastronomia nei media. Sposiamo falsi miti e non conosciamo le origini e i motivi di cosa e come mangiano».

In Al Dente Parasecoli collega i paesaggi con le tecniche agricole e le storie sociali delle comunità rurali. Sotto la sua lente passano anche gli ambienti urbani e artigianali, come pure gli apporti professionali dei cuochi e, nel passato, degli scalchi. Non si perde il ruolo della letteratura e della cultura cosiddetta «alta» e quello più recente dei media, in particolare del cinema e della stampa di settore. Questo è l’approccio che negli Usa è chiamato food studies, un campo di ricerca multidisciplinare che attraversa le scienze, l’agricoltura, l’antropologia, la sociologia, gli studi di genere (molto controversi in Italia), la comunicazione, la politica, l’ambiente, la salute etc.

«Vivere a New York mi ha permesso di mantenere una distanza dall’argomento. Anche se il coinvolgimento emotivo con il cibo delle radici è sempre presente». «A volte la passione per la cucina italiana assume toni mitici ed eccessivamente romantici – ha continuato Parasecoli -. Alcuni stranieri pensano all’Italia come un luogo dove le persone sono in contatto con i sensi e le passioni, le regole meno rigide e il ritmo di vita lento. Il cibo svolge un ruolo centrale in queste fantasie. Queste immagini sono moltiplicate e amplificate dai media e dal cinema, basti pensare a Eat, Pray, Love. Credo che rispondano più a mancanze o desideri nelle culture straniere che a effettive realtà italiane. Chi si occupa di marketing cavalca bene quest’onda e contribuisce a rafforzare il messaggio. Da un certo punto di vista, potrebbe essere dannoso perché distoglie l’attenzione dalla qualità, dagli sforzi per migliorare le filiere produttive etc. Da quello politico, invece, la promozione del cibo italiano all’estero è lasciata ai singoli imprenditori/produttori/importatori, con poco sforzo in comune a livello di immagine».

L’ennesima chance buttata al vento. Non per Parasecoli che in America ha trovato il modo di lavorare sul food sperimentando in maniera intelligente e supportata dalle istituzioni. «Il mondo accademico è più flessibile e pronto ad assorbire il cambiamento e i fenomeni sociali creando nuovi programmi e ricerche. Forse proprio perché molti americani hanno problemi con il loro sistema alimentare, il cibo è anche argomento di critica sociale e politica. Dalla salute alle colture biologiche, dall’uso degli ormoni e degli antibiotici nelle carni alla diffusione dei farmer’s market in quartieri urbani e zone rurali con popolazione a basso reddito, dalle reti locali alla sostenibilità, dall’impatto dell’innovazione e della tecnologia alla conservazione delle tradizioni». Un’ottica interessante e necessaria per un argomento che ci riguarda da vicino. E che, come tutte le cose, stiamo affrontando alla rovescia.

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