Per la seconda volta nel giro di un mese, il vicepremier Luigi Di Maio è riuscito nell’impresa di scontentare tutti. A Taranto, i vari attori principali nella complicata vicenda Ilva, speravano che almeno ieri arrivasse dal ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, una scelta definitiva sul futuro della grande fabbrica. Una sorta di dentro o fuori. Ed invece, ancora una volta, il capo politico del Movimento5Stelle si è rifugiato in un artificio comunicativo («la gara è illegittima, ma non si può annullare», ndr), che nella città dei Due Mari in pochi hanno compreso.
Anche perché il parere dell’Avvocatura di Stato, a differenza di quello redatto dall’Anac a luglio, non è stato reso pubblico. Cosa che impedisce di comprendere appieno i rilievi di criticità che l’organo dello Stato ha evidenziato sulla gara di vendita dell’Ilva. Ed è proprio per questa mancanza di chiarezza, che il Comune di Taranto ha avviato l’iter di accesso agli atti per ottenere il parere dell’Avvocatura. Il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, si è infatti detto «imbarazzato» dall’atteggiamento di Di Maio che ha mostrato «disprezzo per la comunità ionica», ed a cui ha chiesto di dire «se vuole o no chiudere l’Ilva: a risposta è semplice, siamo stanchi di continui giochi di teatro» ha dichiarato il primo cittadino. Che ha promesso una vigilanza quotidiana qualora il governo scelga la strada della chiusura: «Se vuole chiudere l’Ilva, si accomodi. Faremo in modo che Taranto resti una priorità della nazione fino a che non sarà tutelato l’ultimo lavoratore, l’ultimo concittadino, ripristinato l’ultimo lembo di terra».
Irritazione anche nel mondo delle imprese, con Confindustria Taranto che ha accusato il vicepremier «di aver scelto di non decidere». Una non scelta giudicata «inaccettabile». Un ulteriore rinvio che rischia di pregiudicare sempre più la situazione interna alla fabbrica: «gli impianti hanno pochissima manutenzione, i lavoratori sono a rischio infortuni ogni giorno, le ditte chiudono, con un investitore che ha pronti 5 miliardi di euro da investire: sono sei anni che aspettiamo, ora basta».
Non ha reagito meglio il mondo sindacale. Che non riprenderà la trattativa con Mittal sino a quando l’incertezza sulla gara non sarà superata. Fiom, Fim e Uilm, si trovano inoltre nella difficile posizione di interloquire con una fabbrica con oltre 11mila dipendenti, molti dei quali alle politiche hanno dato fiducia al Movimento5Stelle, nella speranza di ottenere una parola definitiva sul loro futuro occupazionale. Sarà anche per questo se ancora non si scorgono i mugugni che in passato hanno portato i lavoratori a protestare: probabilmente la riserva di fiducia non si è ancora esaurita.
Perplessa, se non altamente delusa, la galassia dell’associazionismo (che negli anni è andato spegnendosi), nonché le migliaia di elettori che a marzo permisero al Movimento5Stelle di risultare primo partito in città e in provincia, con ben cinque parlamentari eletti. In molti speravano in un’azione più decisa sull’annullamento della gara che aprisse le porte alla chiusura dell’Ilva. Del resto, per anni, i 5Stelle questo hanno promesso alla comunità ionica una volta conquistato il Parlamento.
Per voltare definitivamente pagina, Taranto ha bisogno di ben altro. Di quel famoso “Piano B” che ancora oggi stenta a vedere la luce. Che parta da una corsia preferenziale in campo sanitario: i tarantini devono potersi curare in loco e non in giro per l’Italia o per il mondo. Si deve realizzare la messa in sicurezza e la bonifica di tutte le aree contaminate negli anni. E sopratutto, bisogna ripensare una città diversa. Più umana, più coesa e unita. Serve un piano serio di «sghettizzazione» delle periferie, abbandonate da anni. La nuova economia passerà dalle attività del porto e della filiera agroalimentare, così come dal turismo: Taranto quest’estate è stata come non mai visitata da moltissimi turisti, principalmente stranieri. I numeri delle visite in città vecchia, al Castello Aragonese, il fascino del Ponte Girevole, la rinascita del Museo Archeologico, le tante iniziative culturali stanno lì a dimostrarlo. Solo così si potrà uscire dal giogo della grande industria.