Si chiama Dor Beach ed è una spiaggia accanto al kibbutz Nahsholim, tra Cesarea e Haifa. L’ideale per una nuotata anche quando non è estate, grazie alle temperature gradevoli di questa parte di Mediterraneo. Un tempo qui c’era il villaggio di Tantura. E dove ora i bagnanti parcheggiano le loro auto, c’è una fossa comune con i resti di decine, forse 200, palestinesi civili e combattenti della guerra del 1948 trucidati a sangue freddo dopo essere stati fatti prigionieri dai soldati della Brigata israeliana Alexandroni. A scriverlo sulle pagine di Haaretz è Adam Raz, ricercatore dell’istituto Akevot specializzato nella pubblicazione di documenti riservati o declassificati negli ultimi anni. Un massacro che i palestinesi hanno denunciato invano per decenni e che è sempre stato negato con forza da Israele. Tanto che una ventina di anni fa averne scritto costò un processo per diffamazione allo studente universitario Teddy Katz, che ne aveva fatto (nel 1998) l’argomento della sua tesi di laurea – «L’esodo degli arabi dai villaggi ai piedi del monte Carmelo meridionale nel 1948» -, e in seguito la cattedra al suo professore e noto storico Ilan Pappè, costretto ad emigrare accademicamente verso il Regno Unito.

Raz racconta il massacro grazie alle testimonianze date dagli stessi veterani ancora in vita della Alexandroni al regista Alon Schwarz che ha firmato il documentario «Tantura» proiettato nei giorni scorsi al Sundance Film Festival. «Anche se le testimonianze dei soldati nel film (alcune registrate da Katz, altre da Schwarz) sono state date in frasi spezzate, in frammenti di confessioni, il quadro generale è chiaro: i soldati della Brigata Alexandroni hanno massacrato uomini disarmati dopo che la battaglia si era conclusa», scrive Raz. Non è possibile stabilire il numero di abitanti di Tantura uccisi a colpi di arma da fuoco. I dati che emergono dalle testimonianze vanno da una manciata di morti a molte decine. Un residente di Zichron Yaakov che ha aiutato a seppellire le vittime, sostiene che sono stati più di 200. Abbattuti a colpi di mitragliatore per non aver voluto, al termine della battaglia, rivelare dove avevano nascosto le armi.

Haim Levin, un ex soldato, racconta che un membro della sua unità è andato verso un gruppo di 15-20 prigionieri «e li ha uccisi tutti». Un altro combattente, Micha Vitkon, ha riferito di un ufficiale che anni dopo sarebbe diventato un importante esponenti della Difesa. «Con la sua pistola uccise un arabo dopo l’altro» ha detto. «Io non ho fatto prigionieri» aggiunge un altro veterano, Amitzur Cohen. «Quanti arabi ho ucciso fuori dal contesto della battaglia?… Non ho contato. Avevo una mitragliatrice con 250 proiettili. Non so dire quanti». Secondo le testimonianze e i documenti divenuti disponibili, le vittime del massacro furono seppellite in una fossa comune che si trova sotto il parcheggio di Dor Beach. Il 9 giugno 1948 un comandante militare non meglio precisato dichiarò: «Ieri ho controllato la fossa comune nel cimitero di Tantura. Ho trovato tutto in ordine». Le testimonianze dei soldati della Brigata Alexandroni si aggiungono a quella data venti anni fa dal veterano Yosef Ben-Eliezer. «Sono stato uno dei soldati coinvolti nella conquista di Tantura», scrisse Ben-Eliezer, «ero a conoscenza degli omicidi nel villaggio. Alcuni dei soldati li hanno commessi di propria iniziativa».

Un editoriale di Haaretz esorta ad indagare le testimonianze dei veterani israeliani e a commemorare la fossa comune con i corpi dei palestinesi. Perché si tratta di un crimine di guerra, denunciato da oltre 70 anni dai palestinesi e ora confermato persino da alcuni dei suoi autori. Ma, siamo seri, chi mai lo farà?   Ha ragione Adam Raz che ,chiudendo il suo lungo articolo, prevede «I tristi eventi a Tantura non saranno mai completamente indagati, la piena verità non sarà conosciuta». Sa come vanno le cose quando sul tavolo c’è la storia.