Acoustic Tarab Alchemy: alchimia dell’estasi acustica (fisica e mentale) indotta dall’ascolto della musica. “Tarab” in arabo fa riferimento anche alla danza, alludendo ad un coinvolgimento totale nell’esperienza sonora. Questo l’approssimativo significato dell’acronimo A.T.A. che unisce la voce carismatica del tunisino Houcine Ataa, il pianismo trasversale di Gaia Possenti (compositrice e jazzwoman di alto profilo), il contrabbassismo “mediterraneo” di Bruno Zoia e le percussioni sincretiche di Simone Pulvano. Gli artisti hanno presentato al pubblico romano il primo lavoro discografico (“A.T.A. Acoustic Tarab Alchemy”, Odradek), nel raccolto teatro Borgna al Parco della Musica.

CI VOGLIONO fantasia e coraggio per unire il misticismo del canto sufi ad elementi ed armonie jazzistiche, lo spiritualismo alla “fisicità” afroamericana, l’Oriente all’Occidente, l’Islam al laicismo. <>. Ciò accade, in modo originale e naturale, nei brani composti ed eseguiti dal quartetto A.T.A., pur sovvertendo molti dei canoni espressivi più diffusi.

INTANTO la lingua, l’arabo con i suoi melismi e suoni. Quasi sempre le orecchie occidentali sono sintonizzate sull’inglese e le sue cadenze ma la dolcezza e la forza della lingua araba sono molto più vicine a chi si bagna nel Mediterraneo. “Kolo koloub” (Tutti i cuori), ad esempio, ben incarna la mistica tensione del sufi. Il canto di Ataa, in effetti, si muove in quell’ambito stilistico e tematico con qualche significativa eccezione: le canzoni d’amore Fattouma” e Ya msafer wahdak, Mok Felaja che riflette sull’emigrazione, la strumentale “Il volo di Icaro” (dedicata a Domenico Ascione). Si alternano sequenze a tempo libero ad altre in cui si staglia un drumming jazzistico, talvolta in tempo ternario, ed ecco la lezione spiritualsonora di John Coltrane – il suo modalismo – librarsi in veste sufi, come in Tatira.

E POI GLI STRUMENTI, ciascuno con la sua storia ma pronto a nuove avventure alchemiche. Il pianoforte si accosta a musiche non temperate e le interpreta con apparente leggerezza ma reale intensità, calore improvvisativo e marcata vocalità. Il contrabbasso di Bruno Zoia si trasforma in uno dei tanti cordofoni ad arco della tradizione mediorientale e nordafricana ma sa pulsare e generare ritmo. La batteria assemblata da Simone Pulvano è una creatura nuova che unisce la caixa sudamericana ai piatti jazz ed alle percussioni arabe (tamburi a cornice compresi) per farli risuonare con leggerezza ed intensità, in una policromia di ritmi che ricorda i colori dei tappeti. In tempi di integralismi l’esperanto musicale di A.T.A. unisce Oriente e Occidente e mostra l’incontro – possibile, pacifico, creativo – tra culture.