«I riformisti riconoscono la legittimità delle proteste e difendono il diritto di manifestare in pubblico, ma sono contrari alla violenza che porta alla distruzione della proprietà privata». Ex deputata del fronte riformatore al tempo del presidente riformatore Muhammad Khatami e braccio destro del leader del movimento verde Mehdi Karrubi nel 2009, Jamileh Kadivar commenta così lo scarso entusiasmo dei politici moderati iraniani di fronte alle proteste di questi giorni. Esprimono opinioni diverse, ma concordano sul fatto che l’eredità lasciata dall’ex presidente conservatore Mahmoud Ahmadinejad (2005-2013) al suo successore Hassan Rohani è stata particolarmente pesante, che sia assolutamente necessario mettere fine alla violenza e al tempo stesso garantire maggiori diritti per evitare – avverte su Instagram Mohammad Ali Abtahi, vice-presidente al tempo del riformatore Khatami – «che il paese si trasformi in uno stato di polizia».

Già lo sapete, le proteste sono motivate in prima istanza dal carovita e dalle questioni economiche a cui si sono poi aggiunte altre lamentele, prendendo di mira tutta la leadership politica, inclusi i riformisti e il presidente moderato Rohani. Il 29 dicembre, un giorno dopo l’inizio delle proteste a Mashad, il vice presidente Eshaq Jahangiri aveva dichiarato che l’economia veniva «strumentalizzata per attaccare l’esecutivo», lasciando intendere che dietro alle manifestazioni ci fossero Ebrahim Raisi, che nelle presidenziali del 2017 aveva sfidato Rohani ed è a capo della potente fondazione religiosa dell’Imam Reza, e suo suocero l’Ayatollah Alamolhoda che nella città santa di Mashad guida la preghiera. Eletto nella circoscrizione di Teheran, il deputato riformatore Mahmoud Sadeghi ritiene che «se anche le proteste fossero state organizzate, le autorità devono comunque trovare una soluzione ai problemi della gente». Insomma, forse si possono accantonare le teorie della cospirazione, che in Iran sono da sempre di moda, tant’è che in questi giorni alcuni esponenti della leadership iraniana hanno accusato gli Stati uniti, Israele e i sauditi di interferenze. A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca: ieri le autorità hanno annunciato di aver neutralizzato una cellula terroristica entrata nell’ovest dell’Iran nelle ultime settimane per «uccidere la gente nelle manifestazioni» e poi far ricadere la colpa sulla polizia e sui pasdaran.

In questa situazione caratterizzata da molta incertezza e da una buona dose di confusione, il Nobel per la pace Shirin Ebadi contesta dal suo esilio londinese il numero di arresti, che ritiene superiore ai 700 dichiarati dalle autorità, e invita alla disobbedienza civile: gli iraniani dovrebbero smettere di pagare le bollette della luce, dell’acqua e del gas, non dovrebbero versare le tasse, farebbero meglio ad andare in banca e ritirare i loro depositi in contanti per fare pressione sul governo.

Sempre da Londra, dove vive anche lei in esilio dal 2009, anche Jamileh Kadivar ricorda che «l’articolo 27 della Costituzione della Repubblica islamica garantisce il diritto di organizzare incontri pubblici e manifestazioni, a patto che non si abbiano con sé armi e che non si ci ponga come obiettivo distruggere i principi fondamentali dell’Islam». A turbare gli animi dei riformatori sono stati infatti le auto incendiate e i disordini in cui le proteste sono degenerate, per questo i riformatori hanno invitato i manifestanti a non cadere negli eccessi.

A spaventare i riformatori è poi il fatto che «le proteste non hanno né un leader, né un portavoce né tanto meno un programma, ci vuole cautela anche perché la natura degli slogan è cambiata rapidamente, arrivando a prendere di mira persino il presidente Rohani e a invocare il ritorno ai vertici dell’Iran di personaggi che vivono fuori dal paese dai tempi della rivoluzione del 1979», commenta Jamileh Kadivar. Secondo l’ex deputata riformista, che nel 2009 si trovava a Torino per partecipare a una serie di conferenze e non è potuta più rientrare in patria, «le autorità devono concedere alcune libertà sociali e culturali, specialmente alle donne e ai giovani. Gli iraniani reclamano maggiori diritti anche in ambito politico, è necessario permettere ai cittadini di riunirsi e di manifestare liberamente, rendendo note le loro istanze in maniera pacifica. È poi fondamentale che i prigionieri politici siano rilasciati. Istituzioni come la radio e la televisione di Stato, il Consiglio dei Guardiani e la magistratura sono fonte di lamentele diffuse ed è necessario un intervento puntuale. In ambito economico bisogna combattere la corruzione e la mala gestione della cosa pubblica. I ceti sociali bassi hanno parecchi problemi che l’esecutivo deve risolvere in tempi rapidi».