Le Cevenne sono una regione montagnosa del sud della Francia, situata sul confine meridionale del massiccio centrale. Si tratta d’un raro scorcio di Francia non ancora completamente deturpato dalle zone commerciali, dalle rotonde e dalle stazioni di servizio che hanno invaso il resto del paese. La regista Caroline Vignal ha deciso di iscrivere nei paesaggi arcadici di questa regione vacanziera il suo secondo film. Si tratta di una commedia romantica e solare: Antoinette dans les Cévennes («Io, lui, lei e l’asino») Divertente e meno banale di quel che potrebbe sembrare, assai abilmente confezionata da un’autrice che si è data dieci anni di riflessione dal suo primo lungometraggio (Les Autres filles, 2000) per confrontarsi di nuovo con il grande schermo.

ANTOINETTE è una maestra elementare parigina. È l’ultimo giorno dell’anno scolastico, e la nostra eroina pensa di poter infine passare un po’ di tempo tra le braccia del suo amante, che è anche il padre di una sua alunna, e il quale invece le annuncia di accompagnare la moglie e la figlia in un’escursione sul famoso cammino descritto da Robert Louis Stevenson in Viaggi con un asinello attraverso le Cevenne (1879). Sorpresa ma non vinta, Antoinette prende scarponi e valigia e si precipita al seguito dell’ignara famiglia, nell’improbabile speranza di incontrare l’amante e di passare un po’ di tempo con lui. Arrivata sul posto, scopre che non c’è traccia del suo innamorato, e che il suo compagno di escursione sarà invece un asino di nome Patrick.
L’idea di filmare un asino non è nuova al cinema d’oltralpe. Robert Bresson ha fatto di questo mansueto animale il cuore di uno dei suoi film più belli (Au hasard Balthazar). Ma ancora non se ne erano sfruttate le virtù comiche, in particolare in duo. Fin dalle prime sequenze, l’alchimia è assai riuscita. L’asino che dovrebbe alleggerire il viandante dal peso dei bagagli si rivela una vera zavorra per Antoinette, accentuandone la goffaggine e la disperazione. Il duo funziona talmente bene che si perdona rapidamente al film la prevedibile evoluzione del rapporto tra i due. Anche perché, sebbene il cammino percorso sia dei più classici: indifferenza, incomprensione, odio, amicizia, rispetto e infine amore, il tragitto non manca di svolte impreviste, di scorci suggestivi e belle scoperte. Come l’idea che per far muovere Patrick bisogna parlagli. Quando lo capisce, Antoinette non esita a confessare a questa materia grigia a quattro zampe tutte le proprie strampalate storie d’amore.

E FORSE è proprio perché il punto d’arrivo del film è chiaro fin dall’inizio che quello che resta è proprio l’idea di mettere insieme un’attrice, un asino e un paesaggio. Antoinette è il primo ruolo da protagonista di Laure Calami, che aveva già brillato in tanti film di giovani cineasti francesi. Uno per tutti, quello che l’aveva rivelata: Un monde sans femmes di Guillaume Brac, con Vincent Macaigne. È grazie alla sua pregevole performance che il personaggio scavalca gli stereotipi del film sulla bella di città in vacanza (che nel cinema francese è quasi un genere a sé). Stereotipi che pure sono lì, al centro di ogni scena, testardi come l’asino. Il film non li abbandona, non cerca di aggirarli ma piuttosto di addomesticarli o di confrontarcisi, o persino di discuterci, come quando, seduta a una tavolata di escursionisti, Antoinette scambia alcune battute con Marie Rivière, la protagonista del Rayon Vert (per altro, una delle scene più esilaranti del film). E la conversazione non è un semplice cameo o una strizzata d’occhio ma, come in tanti altri momenti, una maniera per visitare dei luoghi per così dire turistici del cinema francese d’autore, che questo piccolo film attraversa a passo d’asino, con umiltà e determinazione.