Come un fulmine a ciel sereno ieri, mentre i kazaki si apprestavano a cenare, è arrivata la notizia delle dimissioni dalla presidenza del Kazakistan di Nursultan Nazarbayev, dopo 29 anni di potere assoluto e incontrastato.

La notizia ha mobilitato subito gli analisti geopolitici ma anche le cancellerie sono al lavoro per capire cosa sta succedendo in uno dei paesi più ricchi di materie prime del mondo e ai confini delle aree con maggiore influenza del radicalismo islamico.

Nel suo discorso alla Tv Nazarbayev ha affermato «di aver preso una decisione molto difficile», di voler passare il testimone alle nuove generazioni ma anche che continuerà a svolgere un ruolo di primo piano nella transizione. Il presidente uscente ha designato anche il suo successore. Si tratta di Kassym-Jomart Tokayev attuale portavoce del parlamento.

Tokaev, 65 anni, è uomo di grande esperienza: si è formato all’accademia diplomatica di Mosca, parla fluentemente kazako, russo, cinese e inglese ed è stato più volte ministro. Secondo alcuni analisti sarebbe l’uomo giusto per una «transizione morbida» che sappia modernizzare il paese in chiave occidentale senza rompere con Mosca. Ma la repentinità della decisione e una serie di indizi spingono a pensare che tutto non stia filando liscio come sembrerebbe.

Solo un mese fa il presidente kazako aveva dimissionato l’intero governo. L’accusa era di «non aver utilizzato gli incentivi e strumenti per la crescita qualitativa dell’economia mentre i fondi a disposizione del gabinetto sono spesi per scopi non previsti». Corruzione e dilettantismo, insomma. I ministri sono stati accusati anche di vivere alla grande «con il rolex al polso e sulle rolls-royce» disinteressandosi della vita dei kazaki comuni. Una sortita dal doppio significato.

Da una parte si rovesciava sulle spalle del governo le colpe di una crescita della ricchezza incontrollata del paese che ha visto in questi decenni pochi vincitori e molti sconfitti. È la tesi espressa da Nariman Giditzinov sulla pagina russa di Bloomberg: mentre il Pil a parità di potere di acquisto pro capite ha superato i 27mila dollari nel 2017, il salari continuano a stagnare intorno ai 500-600 dollari, segno di una forbice sociale che si allarga sempre più.

Dall’altra le dimissioni intenderebbero frenare le spinte di chi vorrebbe, nel mondo politico ed economico kazako, sciogliere il legame strategico con Mosca per passare armi e bagagli all’occidente. In tal caso per il «kazakologo» Daniil Kislov l’incoronazione di Tokaev dovrebbe rappresentare qualcosa di simile a ciò che fu passaggio delle consegne tra Eltsin e Putin in Russia nel 1999: garantire gli interessi di Nazarbayev (tutte e tre le figlie sono ai vertici dello Stato e dell’economia) una riforma del sistema che dà segni di scricchiolare, ma al contempo lasci inalterato il legame politico con Mosca.

Ma come in ogni cambiamento di rotta, gli imprevisti possono essere molti. Putin per restare all’analogia, giunto al potere ruppe con la Casa bianca e attaccò gli oligarchi che erano stati la spina dorsale del regime eltsiniano. Non a caso al Cremlino si respira una certa apprensione.

Putin ha subito chiamato Nazarbayev al telefono ma non ha volto svelare il contenuto del colloquio mentre Valentina Matvienko, portavoce della Duma e stretta alleata del presidente ha affermato «che le dimissioni di Nazarbayev giungono inaspettate e rappresentano qualcosa di molto serio». Lo hanno inteso anche i kazaki: dopo l’annuncio hanno visto improvvisamente Facebook oscurarsi e il tienghe, la valuta locale, perdere in poche ore il 20% del valore sul dollaro.