La Croazia sorprende ancora. Nel voto di domenica scorsa per il rinnovo del Parlamento, il premier uscente Andrej Plenkovic ha ribaltato i pronostici della vigilia, incassando una vittoria netta: il suo partito, l’Unione Democratica Croata (Hdz), ha conquistato il 37% dei voti, aggiudicandosi 66 dei 151 seggi del Sabor. Una vittoria inaspettata per l’Hdz di Plenkovic che è riuscito a far meglio non solo rispetto ai sondaggi che lo vedevano dietro i socialdemocratici dell’Sdp, ma anche rispetto alle scorse elezioni, e questo a dispetto delle frizioni interne al partito che sembravano aver indebolito l’Hdz.

Decisiva si è rivelata la decisione del premier di anticipare le elezioni in programma in autunno: in questo modo Plenkovic ha capitalizzato il consenso ottenuto durante la gestione della pandemia, nonostante l’arrivo di una seconda ondata: il giorno precedente il voto si sono registrati 86 contagi, uno dei livelli più alti registrati dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Altrettanto decisiva è stata la campagna elettorale del premier che ha convinto i cittadini a non imbarcarsi in avventure politiche in un momento di grande incertezza per il Paese, stretto tra la ripresa dei contagi e la grave crisi economica all’orizzonte che seguirà alla pandemia.

Non ha convinto invece Restart, la piattaforma di centrosinistra guidata dall’Sdp di Davor Bernardic.

Data per favorita nei sondaggi, la coalizione si è fermata al 24.87%, conquistando appena 41 seggi: per i socialdemocratici è una delle sconfitte più pesanti degli ultimi anni. L’Sdp non è riuscita a replicare il successo delle presidenziali di dicembre scorso quando a spuntarla è stato l’ex premier socialdemocratico, Zoran Milanovic. Il risultato disastroso della coalizione di centrosinistra si può in parte attribuire all’improvvisazione del leader dell’Sdp Bernardic che ieri ha rassegnato le dimissioni.

Per i socialdemocratici si apre ora una fase di riflessione su un voto che è anche il risultato dell’incapacità del partito di aprirsi a istanze più progressiste. Prova ne è la performance della coalizione di sinistra ecologista Mozemo che al suo esordio ha conquistato 7 seggi. La piattaforma, nata come un movimento di lotta contro le politiche urbanistiche del sindaco di Zagabria Milan Bandic, ha ottenuto un ottimo risultato soprattutto nella capitale dove ha raccolto il 23% dei voti, secondo solo all’Hdz. E ora Mozemo punta alla conquista della capitale alle elezioni amministrative che si terranno il prossimo anno: un obiettivo forse non impossibile se si considera che il partito del sindaco Bandic, in sella dal 2000, non è riuscito a superare la soglia di sbarramento.

Vittoria con riserva per il Movimento patriottico dell’ex cantante folk Miroslav Skoro che si piazza terzo con il 10% dei voti. Un risultato leggermente al di sotto delle aspettative per l’Orbàn croato che riesce a fare il pieno di voti soprattutto nella regione orientale della Slavonia. Skoro puntava a entrare in un governo di coalizione con l’Hdz a condizione che Plenkovic non fosse più premier, ma l’exploit dei conservatori ha sparigliato le carte. A Plenkovic servono solo 10 seggi per avere la maggioranza e questo allontana definitivamente la prospettiva di un esecutivo formato dall’Hdz e dal Movimento patriottico.

Uno smacco per Skoro, ma anche per l’ala oltranzista interna all’Hdz che mirava a mettere in minoranza la fazione moderata guidata da Plenkovic.

Ci vorrà tempo però per vedere se la vittoria del premier sarà sufficiente a far cambiar pelle all’Hdz, partito che domina la scena politica croata sin dall’indipendenza dalla Jugoslavia del 1991. Tra le ambiguità che restano da sciogliere nel partito di Plenkovic, il rapporto con la Bosnia dove il partito gemello bosniaco, l’Hdz Bih di Dragan Covic continua a portare avanti istanze nazionaliste che minano la sovranità di Sarajevo.

Così come ambiguo resta l’atteggiamento nei confronti della minoranza serba in Croazia, vittima soprattutto in questa tornata elettorale di continui attacchi sferrati dai sovranisti di Skoro. Attacchi condannati da Plenkovic, seppur in modo cauto. Insomma, la strada per la costruzione di un partito che si emancipi dai fantasmi nazionalisti del suo passato è ancora lunga.